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L'AMORE E I SUOI LINGUAGGI

La famiglia è il luogo i cui impariamo le relazioni, la realtà a cui apparteniamo, il legame che ci tiene radicati ai nostri cari. Legame sia fisico, di sangue, che affettivo, d’amore; legame che va custodito, nutrito, fatto crescere.

 

Oggi vorrei fermarmi sul versante affettivo, sull’amore; e vorrei affrontare questo tema a partire da uno spunto offerto dalla lettura di un libro, scritto diversi anni fa e piuttosto conosciuto. Il titolo di questo libro è I CINQUE LINGUAGGI DELL'AMORE, di Gary Chapman.

La cosa bella che ho scoperto leggendo questo libro è un’idea dell’amore capovolta rispetto a quella che si pensa solitamente: o meglio ancora mi pare che il concetto espresso in questo libro è in grado di spiegare l’idea dell’amore così come viene inteso di solito.

Spesso si pensa all'amore come qualcosa di romantico che speriamo di incontrare per vivere una vita felice. Di conseguenza gli ottimisti o gli ingenui sognano di essere così fortunati da incontrare l’anima gemella, mentre i pessimisti e i disincantati non si illudono e partono già con la convinzione che tanto, prima o poi, l’amore finisce. Insomma, l’idea di fondo è che l’amore è qualcosa che succede, che si incontra.

Invece, prima di tutto questo, l’amore è un bisogno, una condizione essenziale alla vita: da quando nasciamo abbiamo BISOGNO di essere amati, cioè accolti, protetti, accompagnati, incoraggiati, apprezzati. Senza amore, senza una relazione di affetto e di vicinanza un bambino non è felice, fatica a crescere e difficilmente diventa un adulto equilibrato; la clinica psicologica e psichiatrica lo dimostra abbondantemente.

Nel suo libro, Chapman, con il tipico pragmatismo americano, immagina che ogni persona abbia dentro di sé un “serbatoio d’amore” simile al serbatoio del carburante in un’automobile, che si riempie grazie alle attenzioni e alla cura dei genitori; questo fa sì che il bambino percepisca di essere amato, di essere prezioso e apprezzato, voluto, soddisfatto. Altri autori, per esempio Giulio Cesare Giacobbe, usano l’esempio di un vaso che viene riempito dall’amore dei genitori e che quando trabocca porterà a desiderare di amare gli altri.

 

L’amore quindi è prima di tutto un bisogno fondamentale, parte dell’essenza dell’essere umano. Mi chiedo per la verità perché mai ci stupisce questa idea? Ogni credente sa che Dio è essenzialmente amore, e che l’uomo è immagine di Dio: l’amore, quindi, ci è connaturato.

Come tutti i bisogni fondamentali, ne facciamo esperienza inizialmente in famiglia. Lo stile di amore sperimentato all’interno della famiglia d’origine condizionerà il nostro modo di esprimere amore agli altri.

Il concetto che l’amore si impara era già stato proposto da Erik Fromm tantissimi anni prima nel libro L’ARTE DI AMARE, che richiamava alla necessità dell’impegno, dell’allenamento: anche questa mi sembra una suggestione molto interessante, per niente in linea con l’idea dell’amore romantico, fatalista e disimpegnato. Fromm diceva che, così come per tutte le arti, per diventare bravi ad amare bisogna esercitarsi fin da piccoli, e usava questo esempio secondo me molto efficace: se voglio essere un eccellente pianista so che devo affrontare un percorso di studi, nessuno penserebbe mai: “per ora non so suonare, ma quando mi troverò davanti allo spartito giusto…allora sì!”. Lo stesso discorso si applica all’arte di amare: per essere in grado di amare la persona giusta quando la incontrerò, devo allenarmi nell’arte dell’amare molto tempo prima.

Imparare ad amare è un po’ come imparare a parlare: ognuno di noi ha una lingua madre, la lingua che parlano i nostri genitori e che abbiamo sempre sentito. La impariamo per imitazione, e sarà quella con cui riusciremo a esprimerci al meglio.

All’interno della famiglia, quindi, ci sono dei codici relazionali, dei comportamenti, che il bambino vede mettere in atto dai genitori tra di loro e verso di lui, che gli insegnano come comportarsi e che lo gratificano nei comportamenti corretti, lo fanno sentire accolto e apprezzato, oppure anche lo scoraggiano dai comportamenti scorretti e irrispettosi. Insomma la nostra famiglia ci insegna un linguaggio d’amore, che ognuno poi rielabora personalmente.

Mentre viene soddisfatto questo bisogno primario, piano piano cresce il desiderio di ricambiare e donare questo amore agli altri: i genitori, i fratelli, gli amici, le persone che incontro nella vita, sul lavoro, la persona di cui mi innamoro. Quindi secondo me è corretto dire che l’amore è nello stesso tempo un bisogno e un desiderio da realizzare nell’incontro con l’altro, e ho come l’impressione che l’equilibrio tra questi due fattori fondamentali sia il segreto per una vita serena, pacificata, sia con se stessi che con gli altri.

 

La teoria di Chapman è che esistono diversi linguaggi d’amore, così come esistono diverse lingue. Ogni persona avrà un linguaggio preferito, sia per sentirsi amato che per esprimere l’amore agli altri.

Questi linguaggi (che per la verità possono comprendere svariati dialetti) vengono raggruppati in cinque linguaggi principali: il linguaggio delle parole, quello dei momenti speciali, quello dei doni, il linguaggio dei gesti di servizio e quello del contatto fisico.

Come di consueto, quando affronto questo argomento con le persone che incontro, lo faccio attraverso delle metafore, che servono a fissare nella mente in modo più concreto tutti questi concetti astratti. Li guardiamo uno alla volta.

 

-Il primo linguaggio d’amore è quello delle parole: parole di lode, di rassicurazione, di incoraggiamento; parole gentili, umili, sincere.

Chi usa questo linguaggio si sente amato quando si sente rivolgere complimenti e apprezzamenti, quando chi è vicino a lui gli si rivolge con cortesia e dolcezza, quando trova nell’altro un riferimento a cui chiedere consigli o condividere dubbi, quando viene consolato attraverso parole sagge.

La metafora che uso per raccontare questo linguaggio è il libro IL PROFETA di Kalil Gibran. Un libro perché i libri sono fatti di parole, il loro contenuto non dipende dal supporto su cui le parole sono scritte; di tutte le arti, forse la scrittura è quella veramente eterna: si consumano le pagine di carta ma le parole possono essere trasferite su altre pagine senza modificare il significato.  Un libro, quindi, perché fatto di parole, quel libro nello specifico perché il protagonista, il profeta, è un vecchio saggio a cui tutti si rivolgono per capire la vita, per risolvere problemi, e a tutti lui sa donare le parole che hanno bisogno di sentire.

Si parla tanto dell’importanza della comunicazione nella coppia e anche con i figli. Il linguaggio delle parole mi ricorda che la comunicazione da sola non basta, occorre comunicare in modo amorevole, rispettoso, attento all’altro e in risposta alle sue richieste e ai suoi bisogni.

 

-il secondo linguaggio è quello dei momenti speciali: dedicare del tempo all’amato, creare occasioni solo per poter condividere esperienze, conservare ricordi, sentirsi bene l’uno con l’altra, consolidare la fiducia e l’intimità. La metafora adatta a questo linguaggio è la clessidra, che determina uno spazio di tempo dedicato, il passare fluido e inarrestabile di qualcosa che però si può osservare e apprezzare.

Chi usa questo linguaggio sa stupire il coniuge con un invito a sorpresa, dedica attenzione a preparare la tavola per una cenetta romantica, aspetta sveglio chi ha fatto tardi per poterlo salutare con un bacio e farsi raccontare come è andata.

Questo linguaggio mi ricorda una cosa che molto spesso si perde di vista: io HO il tempo della mia vita, è mio, lo vivo io, e, almeno ogni tanto, posso scegliere come spenderlo. Scopro così che, anche se devo sottostare a dei ritmi diciamo “sociali” (come quelli del lavoro e della scuola, quelli legati agli spostamenti nel traffico e agli orari dei negozi e dei servizi) mi rendo conto che c’è una porzione del mio tempo che posso decidere come usare. Mi accorgo anche che spesso quando dico a qualcuno “non ho tempo” sotto sotto significa: “non voglio usare il tempo che ho per quello che mi chiedi” perché inconsciamente so che il mio tempo è finito, limitato, e non conviene sprecarlo in ciò che non mi piace o interessa. Quando scelgo di dedicarne una parte a chi amo, concentrando su di lui le mie energie e la mia attenzione, è prezioso e gratificante.

 

-Il terzo linguaggio d’amore è quello dei doni: offrire all’altro qualcosa preparato apposta per lui. I doni non sono solo oggetti preziosi che si comprano, chi li riceve e li percepisce come segno d’amore non bada al valore economico, perché sa che il loro valore dipende dal fatto che chi glielo ha offerto ha pensato a lui, si è ricordato di lui. È questo che fa brillare gli occhi e commuove quando si riceve un regalo.

Questo linguaggio mi ricorda che l’amore è gratuito e si nutre della felicità di chi lo riceve. È anche uno dei primi linguaggi che si imparano. Ricordo con tenerezza i vasetti contenenti poveri fiorellini semi-decapitati che i miei figli raccoglievano in giardino o nel parco e mi offrivano soddisfatti. Chi parla questo linguaggio sa sempre cosa regalare per il compleanno e riesce facilmente a intuire i bisogni dell’altro.

La metafora che uso per il linguaggio dei doni non è molto originale: è proprio un pacco dono ben confezionato.

 

-il quarto linguaggio è quello dei gesti di servizio: si tratta del prendersi cura, del procurare ciò che occorre, del farsi carico di un aspetto che fa stare bene l’altro. Chi parla questo linguaggio ha a cuore il benessere fisico, emozionale, relazionale dell’altra persona. È il linguaggio che naturalmente la mamma parla con il neonato, è il compito di “tenere in ordine il nido” che, un po’ perché connaturato e moltissimo per cultura, per secoli è stato appannaggio delle donne.

La metafora che uso di solito per questo linguaggio è un bicchiere, perché richiama le opere di misericordia (dar da bere agli assetati, dar da mangiare agli affamati).

Queste “opere” sono necessarie alla sopravvivenza, ma farle con amore non è scontato…chi si vede costretto suo malgrado ad occuparsi del benessere degli altri lo fa senza gioia, lamentandosi e provando magari un senso di frustrazione e di ingiustizia.

 

-l’ultimo linguaggio è quello del contatto fisico, la metafora è una morbida scimmietta di peluche (che era la preferita di mio figlio da piccolo). La vicinanza fisica, il calore umano, l’abbraccio che stimola le endorfine e aumenta le difese immunitarie…questo è ciò che apprezza e desidera chi si sente amato attraverso il contatto fisico. Ormai da molti anni gli scienziati hanno scoperto che nei piccoli il bisogno di vicinanza e di calore è fondamentale come e in alcuni momenti più di quello del cibo.

Questo linguaggio ci ricorda la natura profondamente relazionale degli esseri umani, ci ricorda che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che non bastiamo a noi stessi.

 

Ripensando ai momenti in cui si è sentito felice, amato, in armonia con il proprio coniuge, ognuno può capire qual è il suo linguaggio d’amore, cosa lo fa sentire amato e apprezzato dall’altro.

In una relazione è importante sapere cosa mi fa stare bene, ed è importante essere in grado di comunicarlo all’altro.

Perché? Perché ognuno di noi ha un linguaggio suo personale, che non corrisponde necessariamente a quello del partner. Facciamo un esempio usando la coppia immaginaria di Maria e Andrea: il  linguaggio principale di lei è quello dei gesti di servizio, per cui si sente amata quando, per esempio, vede che suo marito mette in ordine le cose che usa, la aiuta a sparecchiare e addirittura si offre per le pulizie di casa. Per dimostrargli il suo amore mantiene sempre la casa pulita, gli stira bene le camicie e passa tanto tempo in cucina per preparare ogni giorno un ottimo pranzo. Lui invece, che si sente amato con il linguaggio dei momenti speciali, vorrebbe che Maria passasse un po’ più di tempo con lui sul divano, magari a guardare la tv insieme, e vorrebbe portarla fuori a cena più spesso, per avere dei momenti solo per loro. Questa richiesta però offende Maria, che pensa che Andrea non apprezzi il suo lavoro in cucina, mentre lui è deluso perché la vede sempre affaccendata, senza mai un po’ di tempo da dedicargli.

Si vede il paradosso? Ognuno mette in atto le strategie d’amore che conosce e non si accorge di quanto amore gli sta donando l’altro!

È davvero importante poter dire all’altro cosa mi fa sentire amato e cosa faccio per dimostrare l’amore, in modo da non fraintendersi e per trovare il giusto modo di comunicare e far sentire amato l’altro. Perché, sempre per tornare al libro di Chapman, più mi sento amato (ricordate il serbatoio pieno?) più avrò desiderio di essere amorevole con l’altro, sarò più accondiscendente e disponibile ad accettare anche i suoi aspetti più spigolosi, i suoi difetti ecc.

 

Questo significa anche che, oltre a capire qual è il linguaggio che mi fa sentire amata, devo conoscere il linguaggio di chi amo e riuscire a parlarlo.

Saper parlare diversi linguaggi d’amore è importante, perché mi permette di esprimere l’amore in modo diverso a seconda delle circostanze e dei tempi della vita, dal momento che con gli anni il mio linguaggio e quello di chi amo potrebbe cambiare.

Questo vale per la verità per tutte le relazioni, non solo quelle tra gli sposi: anche con i figli, i genitori, addirittura i suoceri, è prezioso saper esprimere l’affetto nel modo che possano riconoscerlo e apprezzarlo.

I linguaggi d’amore si possono esercitare, si può migliorare e imparare a parlarne di nuovi, proprio come si fa con le lingue: sapere una lingua diversa dalla propria è importante per farsi capire anche da chi non conosciamo o proviene da una realtà diversa dalla nostra. Parlando tanti linguaggi diversi avrò più possibilità di raggiungere il cuore di chi ho davanti.

Inoltre, sapere che mi viene congeniale un determinato linguaggio può essere il criterio per le scelte della mia vita, anche in campo professionale. Penso a una persona che sa usare bene le parole e diventa insegnante: saprà far innamorare della sua materia i suoi studenti! O chi sa parlare il linguaggio dei gesti di servizio e fa l’infermiere o il medico: sono quei professionisti che, quando torni dall’ospedale, ti ricorderai per l’umanità con cui ti hanno trattato, e che avrai desiderio di ringraziare!

Vale la pena allora investire un po’ di tempo e energie per esercitarsi a mettere in pratica i diversi linguaggi d’amore. Certo, non è facile, e potremo scoprire di essere negati per uno o più linguaggi, ma vale la pena tentare.

A pensarci bene, mi torna in mente una sola persona che è stata bravissima a mettere in pratica tutti e cinque i linguaggi, dedicando a ciò tutta la sua vita. Una persona che, per questo, prima ancora della sua morte era già riconosciuta come una santa: una donna che ha donato il suo tempo ai poveri e ai malati, accompagnandoli con parole di affetto e consolazione, prendendosi cura dei loro corpi piagati, facendo loro compagnia nel momento della sofferenza e della morte, accarezzandoli e tenendoli per mano.

Avrete capito che parlo di Madre Teresa di Calcutta. Credo però che tanti di noi, insieme a quel nome, avranno pensato a qualcun altro che, pur non essendo arrivato agli onori degli altari, magari in modo nascosto o in misura minore ha fatto lo stesso: ha amato tanto, in tanti modi diversi.

riusciamo a parlare tutti i linguaggi d'amore?

può essere la chiave per raggiungere il cuore delle persone a noi care

12.02.2022

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