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IN ATTESA DELLA PASQUA

Domani, con la Domenica delle Palme, entriamo nella Settimana Santa, che ripercorre gli ultimi giorni terreni di Gesù. È questo un periodo che mi è molto caro, e che mi piace vivere con intensità. Molti anni fa un sacerdote ci suggerì di vivere la Settimana Santa cercando di immedesimarci nei discepoli che hanno condiviso con Gesù quella esperienza così sconvolgente, intensa, per tentare così di comprendere quello che Gesù ha provato, tentare di intuire la grandezza del suo amore e imparare così la misura dell’amore per gli altri, i fratelli, gli amici, il coniuge, i figli. Rivivere intensamente quei giorni, il triduo pasquale, per sentirsi vicini alla sofferenza del Cristo e per imparare lo stile della vicinanza, dell’essere prossimi, la con-passione, cioè la capacità di stare vicini a chi soffre, quando questo è tutto quello che resta da fare, per permettere alla nostra vicinanza di alleggerire l’animo di chi altrimenti si sente schiacciato dal dolore e dalla solitudine…dal peso della sua croce.

Che è quello che ci viene chiesto per esempio proprio adesso quando, spettatori di tanta sofferenza e tanta distruzione, non possiamo fare molto più che ascoltare, accogliere, abbracciare, rivolgere un sorriso a coloro che da quella distruzione e violenza sono riusciti a sfuggire, abbandonando case, averi e affetti e sono arrivati qui tra noi. Parlo delle persone che sono giunte in Italia dall’Ucraina a causa della guerra, dei ragazzini spaesati che da qualche tempo incontro nelle classi in cui lavoro.

E così, dicevo, per tanti anni ho mantenuto questa abitudine di rivivere la settimana di Pasqua e soprattutto il triduo pasquale con questo spirito del discepolo; quasi una specie di rituale, scandito dalle celebrazioni e da momenti di riflessione personale. Rituale che ha poi acquisito un senso molto più concreto e realistico dopo che, sempre con mio marito, abbiamo visitato i luoghi della Palestina, la terra Santa, là dove si sono svolti veramente i fatti.

Vedere i luoghi, calpestare le strade, toccare le pietre della terra di Gesù rende tutto più concreto, più credibile, più reale. Anche il clima, i profumi, il miscuglio di culture, i cammelli e gli asini che si incontrano per strada…tutto contribuisce ad avere di Gesù e della sua esperienza terrena un’immagine più comprensibile e realistica, nonostante duemila anni fa la vita fosse senz’altro molto differente dalla nostra. Ma il Monte degli Ulivi è ancora quello, così come il lago di Tiberiade, le mura di Gerusalemme, il Golgota.

 

Quindi, ho avuto questa intuizione e mi piace l’idea di condividerla: cosa ci insegna la Settimana Santa, come può aiutarci a realizzare la nostra vocazione famigliare, il nostro vivere l’amore in famiglia, con il coniuge, i figli, con i genitori e le persone che ci sono affidate? Anche i discepoli di Gesù in qualche modo sono stati una famiglia, Gesù stesso dice che sono loro i suoi fratelli e sorelle, legati a lui e tra loro dall’amore e dalla volontà di accogliere la sua parola. Da loro nasce la Chiesa, che è appunto madre di tutti i cristiani, fratelli gli uni degli altri…in fondo tutto il genere umano è una sola grande famiglia!

 

Come avranno vissuto la Domenica delle Palme i discepoli ? emozionati, in un clima di agitazione, quasi increduli, pieni di entusiasmo e anche di soddisfazione nel vedere tutta questa gente che festeggia l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, esaltati anche nel vedere che la gente lo accoglie, lo riconosce come re, come profeta, come figlio di Davide, lo onora, lo saluta… avranno pensato, i discepoli, che finalmente tutti hanno capito, che il loro lavoro, la fatica anche e i pericoli che hanno corso per essere alla sequela di Gesù, tutto questo ha portato frutto, insomma che il più è fatto, finalmente si possono godere il successo, possono vivere in pace…praticamente “missione compiuta”! Questo almeno è quello che una giornata trionfale come la Domenica delle Palme potrebbe suggerire.

 

Anche in famiglia succede di passare momenti di gioia, di festa, momenti in cui godere dei successi raggiuti, momenti per celebrare traguardi a cui si è arrivati: è importante poter gioire gli uni per i successi degli altri, riconoscere il frutto delle fatiche e dell’impegno: penso per esempio a quando un membro della famiglia ottiene una promozione sul lavoro, un riconoscimento per un impegno realizzato, un ciclo di studi concluso: è bello condividere con le persone che amiamo i bei traguardi raggiunti, così come è bello esprimere sinceramente l’apprezzamento, la stima a chi appunto questi traguardi li raggiunge, magari a costo di fatica e sacrificio. L’amore è condividere sia le gioie che i dolori, se prima accennavo alla compassione per chi soffre, ugualmente è importante condividere la passione gioiosa, partecipare alla gioia di chi amiamo. Spesso è difficile essere felice con l’altro, perché è LA SUA felicità, cioè dipende da qualcosa che è successo a lui…invece che a me! Insomma, siamo sempre a rischio di invidia, di gelosia, anche (o soprattutto) quando si tratta delle persone che amiamo di più.

 

Oppure: quante volte non riusciamo a goderci dei bei momenti di pace, di tranquillità, di felicità perché non riusciamo a staccarci dai nostri problemi? Amare è anche scordarsi un po’ di sé, per immedesimarsi in ciò che vive l’altro. Quando si tratta di condividere la gioia, vale la pena dimenticarsi per un po’ dei miei problemi, sia per non funestare la spensieratezza, la serenità di chi meritatamente gioisce, sia per lasciarsi ristorare, ri-creare da questo momento positivo, che mi darà energie per affrontare quello che mi aspetta quando ritorno nella quotidianità (spesso percepita come un carico di problemi e fatiche).

Sarà successo proprio così ai discepoli nei giorni seguenti, quando, dissipata la folla, hanno assistito alle dispute che Gesù ha dovuto sostenere con i farisei, i sadducei, i mercanti del tempio ecc.

Chissà se l’esaltazione, l’adrenalina diremmo oggi, della domenica è riuscita a mitigare lo sconcerto nel vedere che i nemici di Gesù non erano affatto diminuiti, né che i problemi erano risolti, anzi!

Come dire che conviene accogliere e godere pienamente delle occasioni di gioia, proprio perché per esperienza sappiamo che non mancheranno i momenti di dolore e fatica. Forse accettare lieti le gioie ci educa a accettare con più pazienza problemi e difficoltà, perché riconosciamo che entrambi questi aspetti fanno parte del vivere, sono inevitabili nell’esistenza umana.

 

I giorni successivi alla Domenica delle Palme sono stati attraversati da tristezza e sconforto: il pianto su Gerusalemme è la tristezza di vedere la chiusura del cuore di quel popolo tanto amato e tanto incapace di ascoltare il messaggio di salvezza portato da Gesù.

Quante volte abbiamo sperimentato lo sconforto e la delusione, a volte il dolore davanti al fatto che tutto l’amore e l’impegno sincero impiegato ad educare, a far crescere per esempio un figlio, non ha portato ai risultati desiderati, ma addirittura lo ha spinto in una direzione opposta a quella sperata? Penso a tutte le lacrime versate dalle madri che assistono agli errori dei figli, che sopportano conseguenze di scelte non condivise, che si sentono impotenti di fronte alle sofferenze dei figli, di cui si farebbero volentieri carico e che invece non possono alleviare…

E ribaltando la prospettiva, quante volte come figli, o come amici, o come sposi, ci siamo sentiti incompresi, fraintesi, svalutati, giudicati, traditi da quelle persone che dicono di amarci…e lo fanno davvero, ma magari con modalità che non sono sempre quelle giuste?

Eppure Gesù non si arrende, non smette un attimo di predicare, insegnare, rispondere, dare ragione della verità, anche quando si sta velocemente avvicinando il momento più doloroso e difficile; non molla, non si sottrae a chi lo mette alla prova provocandolo, così come non smette di offrire parabole a chi chiede chiarimenti, a chi vuole capire, magari perché vorrebbe credere ma ancora non ci riesce.

 

Un episodio significativo accaduto nella Settimana Santa è la cena in cui una donna (Maria di Betania, secondo il vangelo di Giovanni) cosparge i piedi di Gesù (o il capo, secondo il vangelo di Marco) con un profumo molto prezioso, il nardo, scandalizzando alcuni dei presenti, che ritengono questo gesto un vero spreco. Ma Gesù non è d’accordo e apprezza molto questa attenzione ricevuta da Maria.

Penso a questo: ci sono dei momenti, delle occasioni nella vita, anche nella vita della coppia o della famiglia, in cui non è il caso di essere parsimoniosi, in cui cioè vale la pena donare con generosità, senza calcolo, senza pensare a quanto questo mi verrà a costare. È la capacità di dire sì a chi mi chiede, la capacità di dedicare del tempo imprevisto a chi ne ha proprio in quel momento bisogno, è la disponibilità a condividere ciò che tenevo per me perché vedo che serve più a te. È anche il coraggio di fare quello che mi sembra giusto, nonostante sappia già che gli altri mi criticheranno e non capiranno… perché mi importa di più che tu lo riceva, questo mio dono, e so che lo apprezzerai. Ci sarà poi il tempo per risparmiare, conservare, soppesare, centellinare…perché certo, come dice Gesù a chi critica quella donna, i poveri ci saranno sempre, ma non sempre ci sarà questa occasione importante per fare felice lui, per aiutarlo, per alleggerire la sua croce.

 

E a grandi passi ci avviciniamo al triduo pasquale: il Giovedì Santo è il momento della confidenza, dell’intimità: Gesù raduna i suoi, consegna loro le ultime indicazioni su come vivere l’amore: in umiltà, servendo, condividendo, facendo memoria; rimanendo aperti e accoglienti verso tutti, anche se sappiamo che c’è il rischio di essere traditi. Gesù ci insegna un amore che non giudica e che non esclude.

Solitamente il mio stato d’animo nella celebrazione del Giovedì Santo è la gratitudine per tutto ciò che il Signore ci lascia prima di andarsene, soprattutto il dono dell’eucaristia, che è la promessa di rimanere per sempre!

Lo diciamo anche ai bambini, che piangono perché non vogliono separarsi dalla mamma quando vanno alla scuola materna o devono stare lontani per un po’: non preoccuparti, perché anche se non mi vedi, sono qui, nel tuo cuore…senti, nel cuore, che mi vuoi bene? è perché io sono lì, sempre con te!

 

Poi c’è la preghiera nel Getsemani.

Che ci insegna che a volte da soli è troppo difficile, ci servono davvero gli altri, gli amici, qualcuno che ci dia coraggio, che ci sorregga. Basta il pensiero di non essere soli, basta sapere che qualcuno c’è, poco distante, anche se addormentato…insomma non siamo abbandonati a noi stessi, non siamo soli.

Quanto è importante non lasciare solo chi soffre, chi sta vivendo un momento drammatico? Dicevo anche prima, non per fare chissà cosa, ma solo per esserci, per poter essere svegliati se ce n’è bisogno.

Purtroppo non è in nostro potere risolvere i dolori degli altri, ma possiamo aiutarli rassicurandoli con una presenza che li faccia sentire meno soli, non dimenticati.

 

E così arriviamo al bacio di Giuda, che dà inizio a una successione di eventi tragici: inganni, menzogne, false accuse, corruzione, sobillazione della folla, rimpallo di responsabilità, (prima da Pilato, poi da Erode, poi ancora da Pilato…come una patata bollente con cui nessuno si vuole scottare) e poi la crudeltà gratuita (c’era davvero bisogno della flagellazione e della corona di spine? E degli scherzi dei soldati? Era già un uomo condannato a morte! Quanto assomiglia tutto ciò alla crudeltà e alla violenza gratuita che subiscono anche oggi tante persone inermi?) e infine la crocefissione, l’agonia e la morte.

Il Venerdì Santo è il giorno del dolore, del pianto, dello sgomento nel vedere che succede quello che mai ci saremmo aspettati, il giorno dello sconforto, il giorno in cui tutto sembra finire inutilmente.

Il Venerdì Santo, guardando Gesù, capisco che amare è essere coerenti, non sconfessare la verità, fidarsi di Dio e da quella fiducia, dalla fede, ricavare la forza per affrontare tutta la sofferenza che ne deriva. Imparo che neanche la più vile ingiustizia mi dà il diritto di odiare l’altro, di maledirlo, di ripagarlo nello stesso modo. Se mi immedesimo nella folla mi rendo conto della mia fragilità, di quanto sono condizionabile, manovrabile, influenzabile, di come facilmente posso seguire l’onda del pensiero comune, e fare scelte che sono l’opposto della mio essere libero. Se mi immedesimo nei discepoli, capisco che la paura e l’istinto di sopravvivenza possono prevalere rispetto a ciò che credo vero e giusto…il coraggio non è scontato. Imparo anche che la debolezza del momento non mi definisce per sempre, perché in seguito gli apostoli si sono ripresi e si sono rimboccati le maniche per costruire la Chiesa. Anche nei loro confronti non ci sono rimproveri da parte di Gesù, solo comprensione. Quanto ci viene facile perdonare le debolezze di chi amiamo? Quanto riesco a perdonarmi per le mie debolezze?

Anche i giorni più terribili passano, e se sopravviviamo, che ci piaccia o no, la vita continua.

Il Sabato Santo arriva, anche per Giovanni e Maria, che sono stati ai piedi della croce e hanno visto il corpo di Gesù rimasto senza vita.

Rispetto a loro, noi oggi abbiamo un grande vantaggio perché sappiamo cosa è successo, sappiamo che dopo il sepolcro c’è la resurrezione, e questo è ciò che dà senso a tutto quello che è stato prima.

Il Sabato Santo è il mio giorno preferito, è il momento in cui, dopo tante lacrime, dopo il dolore straziante, si riesce a respirare di nuovo e non si può fare a meno di notare che intorno è primavera… il Sabato Santo è un giorno po’ sospeso: siamo in attesa dell’esplosione di gioia all’annuncio della Pasqua ma non siamo ancora lì, è il preludio di un compimento che CREDIAMO avverrà, ci crediamo, lo aspettiamo…capita che ne dubitiamo?

Vivere il Sabato Santo per la famiglia vuol dire saper aspettare e rispettare i tempi della vita, riuscire a gustare quello che c’è oggi, che serve a preparare quello che verrà domani. Il Sabato Santo insegna la fede negli altri (nello sposo, nei figli) la fiducia nelle loro capacità, il rispetto dei loro tempi, delle loro scelte.

Mi piace il Sabato Santo perché è il tempo dei preparativi per celebrare la festa, il momento di mettere la cura nei dettagli che allieteranno il giorno dopo; è anche il giorno in cui bisogna custodire nel cuore la tragedia appena passata, non dimenticarla, onorarne l’insegnamento; perché le energie impiegate nei preparativi per il festeggiamento non devono andare a scapito del festeggiato!

Il Sabato Santo, solitamente, mi ritaglio un tempo di contemplazione, di preghiera davanti al sepolcro di Gesù per lasciare che il suo sacrificio lasci germogliare qualcosa di nuovo in me; Gesù nel sepolcro dice anche una distanza, che verrà sicuramente colmata (ci credo!) dalla Pasqua che è domani, ma che comunque c’è. Il Sabato Santo dice anche che la pienezza, la perfezione, l’incontro vero (il paradiso) non sono qui: ci ricorda che noi siamo nel mondo, anche se non siamo suoi, del mondo; ma per ora noi siamo qui, e qui dobbiamo operare, vivere, amare. Anche per noi arriverà la pasqua, e sarà eterna, sarà il tutto…ma non ancora, non adesso!

Finisco questa riflessione sul Sabato Santo, perché mi pare che tutto sommato la nostra vita, la vita di ognuno ma anche quella della famiglia, della comunità, sia una esperienza continuamente in bilico tra il giovedì, il venerdì e il sabato di Pasqua, un alternarsi di momenti di intimità e condivisione, di aiuto reciproco, ma anche di sofferenza, di ingiustizie e di errori, con questo sottofondo di speranza e di attesa fiduciosa che ci permette di rialzarci ogni volta e di continuare a camminare verso la salvezza; ci capiterà a volte la grazia di pregustarla, altre volte ci sembrerà lontana e nascosta, a volte riusciremo a scorgerla nello sguardo degli altri.

ci sono momenti della vita e della storia, dolorosi e tristi come la sera del venerdì santo, in cui non si può che piangere e stringere a sé le vittime della cattiveria umana

09.04.2022

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