IN ASCOLTO DELLE EMOZIONI
14.06.2025

Mi piacerebbe stasera affrontare, seppur a grandi linee, il tema delle emozioni, perché la famiglia, la casa in cui con i famigliari viviamo gran parte del nostro tempo, è anche il luogo in cui proviamo ed esprimiamo tante emozioni, legate al vivere quotidiano, ai fatti che costituiscono la nostra storia personale e famigliare, alla relazione con le persone che amiamo.
Parlare di emozioni è abbastanza complicato: tutti le proviamo, ma è difficile esaminarle, descriverle, persino catalogarle. Ogni scuola psicologica ha una sua definizione di emozione, spesso in contrasto l’una con l’altra. C’è chi differenzia emozioni da sentimenti e stati d’animo, chi li accomuna tutti o ne sovrappone alcuni separandone altri.
La differenza principale dipende dall’intensità e dalla durata: l’emozione è una risposta immediata che si risolve in breve tempo, come la rabbia, la paura, la sorpresa, mentre il sentimento dura a lungo ed è più radicato, frutto di una rielaborazione cognitiva che può dargli valore e significato (l'amore, il rancore, l'ammirazione) Lo stato d’animo invece è qualcosa di meno intenso e può essere influenzato da un insieme di fattori come lo stato di salute, l’ambiente, i pensieri (solitudine, incertezza, serenità)
Personalmente mi piace pensare alle emozioni come ad un vento che mi attraversa, a volte leggero a volte intenso, ma poi se ne va, mentre il sentimento è come un alberello che mette le radici dentro di me e, se lo coltivo, resta, crescendo e diventando sempre più forte; se invece non lo curo finirà per appassire. Come dire che sui sentimenti la persona ha un ruolo più attivo, sulle emozioni invece siamo più passivi, ci capitano.
Quello su cui tutti sembrano essere più o meno d’accordo è che le emozioni nascono da degli stimoli esterni o interni, afferiscono al cervello che risponde tramite il sistema nervoso e quello endocrino, provocando reazioni sia a livello fisico che cognitivo; anche il discorso sulle emozioni, quindi, riguarda la persona nella sua interezza: corpo, psiche, anima (o coscienza). Riassumo brevemente qui il concetto a me molto caro della casa a tre piani: ogni essere umano è costituito da diversi elementi che si possono semplificare attraverso questa immagine della casa a tre piani, in cui il piano terreno, poggiato al suolo, è il corpo, cioè tutto quanto riguarda il piano biologico. Su di esso poggia il piano psichico (esperienze, memoria, carattere, emozioni) per finire con la mansarda che rappresenta il piano spirituale (la coscienza, la libertà, la creatività ecc.). ogni piano è ben collegato con ognuno degli altri due e tutto quanto ci accade coinvolge contemporaneamente tutti e tre questi livelli, anche se non ne siamo consapevoli.
Nelle emozioni che vengono definite primarie (gioia, rabbia, paura, tristezza e disgusto -qualcuno aggiunge anche la sorpresa-) i segnali del corpo sono più standardizzati e facilmente riconoscibili dalle altre persone e i comportamenti di risposta più automatici, proprio perché queste emozioni sono quelle fondamentali per la sopravvivenza. Per esempio la paura ci impedisce di affrontare con leggerezza i pericoli, la rabbia ci spinge a non tollerare le ingiustizie, la gioia ci provoca e ci fa ricercare il benessere, il disgusto ci fa allontanare da ciò che potrebbe essere velenoso, dannoso al corpo e/o allo spirito ecc.
Altre emozioni sono più complesse e vengono sperimentate dopo una elaborazione cognitiva influenzata dall’educazione, l’esperienza, la cultura, il carattere e la relazione con le persone che abbiamo intorno. Queste emozioni sono per esempio la vergogna, il disprezzo, l’imbarazzo, la gelosia, la nostalgia, la soddisfazione, la fiducia, l’allegria.
Una cosa secondo me molto importante da ricordare è che non dovremmo classificare le emozioni come positive o negative. Tutte le emozioni sono buone e utili, perché mi mettono in contatto con ciò che succede sia fuori che dentro di me. Possiamo riconoscerle invece come piacevoli o spiacevoli, facili o difficili da provare, faticose o lievi da sopportare ecc.
In casa, in famiglia, ci capita di provare tutte queste emozioni, e anche di parlare delle emozioni che proviamo all’esterno: con gli amici, a scuola, nel luogo di lavoro. Per la verità, anche pensando a me stessa, mi accorgo che ci sono delle emozioni che ci piace raccontare e condividere, sono solitamente le emozioni piacevoli come la gioia, la sorpresa, la soddisfazione; mentre ci sono altre emozioni che preferiamo non condividere o raccontare (per esempio in alcuni casi la vergogna o il senso di colpa). A volte siamo contenti che gli altri non si accorgano dell’emozione che proviamo, a volte vorremmo che ci capissero senza bisogno di spiegazione. Infine può succedere che non riusciamo a tenere nascosta l’emozione che proviamo, anche perché i segnali corporei sono inequivocabili (per esempio quando tremo dalla rabbia o piango per la tristezza)
Di fatto, che ci piaccia o no, oltre alle nostre emozioni, abbiamo tutti a che fare con quelle che provano le persone che ci vivono accanto e che incontriamo. Per questo ci è d’aiuto conoscerle, riconoscerle, sapere come trattarle.
L’educazione emotiva è uno dei temi che si affrontano fin dai primi anni della scuola primaria, con giochi, attività, riflessioni. Se il primo passo è quello dell’alfabetizzazione emotiva, dare nome, riconoscere e comprendere il significato delle varie emozioni, il secondo è osservare come si manifestano in me, il terzo saperle riconoscere negli altri dalle loro manifestazioni visibili: riconosco che il mio compagno è arrabbiato perché diventa rosso, è imbronciato, urla, prende a calci la cartella ecc.; riconosco che è triste perché sta in disparte, piange, non ha voglia di giocare; è felice perché sorride, ha lo sguardo luminoso, salta e parla con entusiasmo.
Riconoscere e dare voce alle proprie emozioni, comprendere quali sono gli eventi che le provocano, trovare il modo adeguato di esprimerle, fa parte del benessere emotivo, la capacità di convivere in modo funzionale e soddisfacente con le proprie emozioni. Significa accettarle, sfogarle in modo adeguato, ma anche saper limitare le situazioni che ci provocano emozioni spiacevoli o faticose, e attrezzarci ad affrontarle quando non possiamo evitare di viverle.
Significa che se per me è molto spiacevole vivere l’ansia, cercherò di capire quali situazioni la provocano e proverò a ridurle o a migliorarle, cercando le strategie che per me funzionano meglio.
Ma non è sempre facile trovare le strategie giuste, e con qualche emozione è più difficile che con altre. La rabbia è una di queste, tanto che e facile anche nella scuola primaria incontrare bambini che ci stanno lavorando insieme a degli specialisti, per riuscire ad esprimerla e sfogarla attraverso modalità socialmente accettabili, che non provochino danno a se stessi, agli altri, alle cose.
La conoscenza dei meccanismi che innescano le proprie emozioni è importante anche per mantenere il livello dell’emozione in una fascia gestibile. La metafora che può spiegare facilmente questo concetto è quella della temperatura dell’acqua nella vasca da bagno. Per stare bene nella vasca occorre che l’acqua sia alla temperatura giusta, che non per tutti è la stessa e anche per me può variare nel tempo. L’arrivo di un’emozione equivale all’apertura del rubinetto, che aggiunge altra acqua. Se la temperatura è uguale a quella precedente, rimanere nella vasca è piacevole; se cambia, riesco a rimanere nella vasca entro certi limiti, perché poi diventerà insopportabile, ingestibile. Gestire l’emozione significa intervenire in tempo per poter rimanere nella vasca. Quando un’emozione è troppo forte può infatti scatenare delle reazioni che non sono funzionali a risolverla. Questo succede per esempio quando ci si pietrifica dalla paura: immaginiamo che io stia attraversando distrattamente la strada con il semaforo rosso, quando sono in mezzo alla carreggiata vedo un camion arrivare verso di me. La paura è tale che mi blocca invece di farmi correre al sicuro.
È come se il cervello, sollecitato troppo intensamente, vada in blackout, si congeli. Questa risposta infatti si chiama freeze. Nella vasca l’acqua si è trasformata in ghiaccio e ne sono rimasta intrappolata.
All’opposto, altre emozioni altrettanto intense possono “scaldare troppo” l’acqua della vasca, portandola ad ebollizione e costringendomi a reazioni incontrollate ed esagerate perché con tutte le mie forze voglio uscire dalla vasca. È il caso di quando la rabbia è tale che non riesco più a controllarla e la sfogo con gesti e parole di cui, una volta passata, mi pentirò o addirittura non avrò ricordo. È il caso di quando per esempio qualcuno di insistente mi fa sbottare con una risposta maleducata per cui poi dovrò scusarmi, ma è anche quello che purtroppo troppo spesso si sente raccontare nei fatti di cronaca, in cui l’aggressore è spinto da una incontrollabile e insospettata furia omicida, nata probabilmente da una frustrazione a lungo repressa che arriva al punto di esplodere.
È perciò importante comprendere e aver cura del proprio equilibrio emotivo, così come di quello delle persone che ci sono affidate e che amiamo. Nei primi anni di vita i bambini esprimono le emozioni in modo molto impulsivo e intenso, come sanno le mamme quando sono alle prese con pianti disperati e lancio rabbioso di giochi ovunque. Il compito degli educatori è di aiutarli a trovare modalità di espressione e sfogo delle emozioni accettabili e funzionali, non solo con le spiegazioni e i ragionamenti ma anche con l’esperienza e l’esempio, la rassicurazione e la consolazione.
Altri momenti di vita in cui le emozioni possono essere un po’ sulle montagne russe sono la pubertà e l’adolescenza, per via delle grandi modificazioni ormonali che influenzano, appunto, diverse aree del cervello coinvolte nei processi emotivi, insieme alle modifiche dovute ai cambiamenti fisici, alla diversa percezione di sé, alla maturazione del pensiero astratto e al sorgere di nuovi interessi e valori.
Gli ormoni sono strettamente legati alla sfera emotiva, per questo gli ormoni sessuali sono alla base di una importante differenza tra uomini e donne. Come sappiamo, nella fase fertile della vita femminile i suoi ormoni fluttuano ciclicamente, con effetti su tutta la persona, emozioni comprese. Nella ciclicità le donne imparano a riconoscere questi ritmi e possono interpretare l’intensità delle loro emozioni a partire da essi. Nei periodi in cui questa ciclicità sparisce, per esempio in gravidanza, dopo un parto, nel climaterio e in menopausa, può essere più difficile comprendere e interpretare le emozioni, o possiamo essere sopraffatte dalla loro intensità, o stupirci delle nuove sfumature che esse possono acquistare. Per gli uomini, simili modificazioni del vissuto emotivo sono più facilmente riferibili ad avvenimenti o a cambiamenti di stile di vita invece che a fattori endogeni, quindi restano più simili durante l’arco della vita.
Si sente spesso parlare di empatia, anche i bambini nei progetti di educazione emotiva la nominano come una delle emozioni “buone” (ma abbiamo detto che non ne esistono di cattive!). L’empatia è la capacità di provare l’emozione che sta vivendo il mio interlocutore, la capacità di “mettermi nei tuoi panni”. È un’abilità importante perché mi permette di comprendere il vissuto emotivo degli altri e quindi magari di farmi su di loro un giudizio più corretto, o meglio ancora di non giudicarli. Un’altra emozione importante è la compassione, la capacità di partecipare all’emozione dell’altro, di starci insieme; è il ridere con chi è nella gioia e piangere con chi è nel pianto suggerito da san Paolo nella lettera ai Romani. Nell’educazione e nelle relazioni d’aiuto però essere empatici e compassionevoli non è sempre sufficiente, soprattutto quando in gioco ci sono emozioni difficili e dolorose. Se la persona che ho a fianco sta attraversando un momento di angoscia e tristezza e permetto a queste emozioni di impossessarsi di me, rischio di perdermi nel suo stesso baratro emotivo invece di aiutarla a uscirne. Per questo è utile coltivare l’intelligenza emotiva, cioè la capacità di riconoscere e comprendere le emozioni proprie e altrui, mantenendo però la lucidità che mi permette di pensare alle strategie utili per gestire al meglio ed eventualmente superare, risolvere queste emozioni.
Lo strumento proposto in un corso che ho frequentato è il diagramma delle emozioni. Immaginiamo un foglio o una lavagna; lo spazio viene suddiviso dall’incrocio di due rette perpendicolari; la retta verticale rappresenta l’intensità, l’energia spesa a causa dell’emozione; la retta orizzontale rappresenta la piacevolezza. In questo modo si formano quattro riquadri, due di essi sono sopra e due sotto alla retta orizzontale della piacevolezza, ma nello stesso tempo due sono a destra e due a sinistra della retta dell’energia. Ogni quadrato richiude valori diversi, che si accentuano man mano che ci si allontana dal centro: il quadrante in alto a sinistra rappresenta le emozioni sgradevoli e che richiedono molta energia, come per esempio la rabbia; quello in alto a destra rappresenta le emozioni piacevoli e che ci attivano, come la gioia e l’euforia. Al contrario il quadrante in basso a sinistra rappresenta emozioni spiacevoli che non ci fanno essere molto attivi, come la tristezza e la noia, quello in basso a destra infine emozioni come la calma e la pace, piacevoli e a bassa attivazione. Attraverso l’intelligenza emotiva sono in grado di osservarmi e posizionarmi sui diversi quadranti, cioè riconoscere quale emozione sto provando, quanto a lungo la provo e da quali stimoli è suscitata. A seconda della sua intensità e della mia reazione, ogni emozione mi posiziona su un punto del quadrante più o meno lontano dal centro (collegandomi alla metafora usata in precedenza, la mia posizione sul grafico corrisponde cioè alla temperatura dell’acqua nella vasca). Mi chiedo: in che punto mi trovo? Sono a mio agio? Questo mi permette di comprendere come mi sento e di trovare le parole per descrivere anche agli altri i miei stati d’animo. Abituarsi a posizionare se stessi sui diversi quadranti facilita la capacità di modificare i propri comportamenti, per spostarsi da un quadrante sgradevole ad uno gradevole o da uno ad alto consumo energetico ad uno più basso o viceversa.
Questo può diventare un utile strumento per facilitare la comunicazione e per far crescere l’intelligenza emotiva nelle altre persone, aiutarle nella consapevolezza e nella gestione del loro mondo emotivo.
Una difficoltà che incontriamo tutti nell’affrontare l’universo emotivo delle altre persone deriva dal fatto che, mentre a tutti capita prima o poi nella vita di sperimentare più o meno le stesse emozioni, ognuno le percepisce, le affronta e le sfoga in maniera personale, anche a seconda delle situazioni, delle fasi della vita, del carattere e dell’educazione ricevuta. Inoltre ci sono dei fattori culturali che possono dare peso e significato diverso alle varie emozioni, tanto che, come rivelato in una singolare pubblicazione (Atlante delle emozioni umane di Tiffany Watt Smith) risulta che alcune emozioni sono così legate ad un ambiente e ad una cultura specifica che vengono provate quasi esclusivamente in alcune parti del mondo.
Per ritornare alle persone che vivono accanto a noi, è la conoscenza che ci permette di scorgere facilmente l’umore e l’emozione che provano, tanto che solitamente il modo di entrare in casa dei figli dopo una giornata di scuola suggerisce alla mamma se è stata una giornata buona o cattiva; spesso non riusciamo a nascondere le nostre emozioni al nostro amato, che con una giusta parola ci invita ad aprire il cuore per raccontare tutto quello che contiene.
Ci sono però momenti in cui trovare le parole per raccontare il vissuto emotivo può essere davvero difficile, magari per timore di non essere compresi, per imbarazzo o vergogna o per paura del giudizio. La sensazione che l’altro non riesca ad aprirsi con noi e preferisca tenerci nascosto il suo malessere, o semplicemente il suo vissuto interiore, può essere spiacevole e dolorosa; a volte ci spinge a comportamenti che non facilitano affatto la comunicazione e quindi peggiorano la situazione.
Esiste un pudore anche delle emozioni e dei sentimenti, che è importante rispettare. Non si può pretendere che l’altro si apra a noi. In questo caso l’intelligenza emotiva si lega alla capacità di ascolto attivo, che è la disponibilità di mettersi di fianco all’altro in attesa dei suoi tempi, ascoltandolo con attenzione, verificando di aver compreso correttamente, in un atteggiamento non giudicante ma cooperativo, disposti anche a parlare di se stessi, del proprio vissuto, con umiltà e sincerità per cercare insieme punti di incontro, soluzioni, propositi. L’ascolto attivo permette di sentirsi considerati, compresi e supportati; contribuisce al benessere di chi lo propone e di chi lo riceve, perché fa crescere l’empatia e la vicinanza tra le due persone, siano esse famigliari, colleghi, amici.
È davvero una benedizione, quindi, quella rete di relazioni affettuose, amichevoli e accoglienti, seppure imperfetta, entro la quale ognuno bene o male si trova, fatta di persone che a volte sono disponibili ad ascoltarci e sostenerci, mentre altre volte ci sentiamo chiamati ad ascoltare, consolare, consigliare.
Concludo con l’augurio che a nessuno manchi mai, nel bisogno, una voce buona, uno sguardo fiducioso, un sorriso rassicurante.
in famiglia ne viviamo tante, legate all'esperienza quotidiana, ai fatti che costituiscono la nostra storia personale e famigliare, alla relazione con le persone che amiamo.
