IL PIACERE DI AMARE
Oggi volevo parlare del piacere, del piacere e dell’amore, anzi del piacere di amare.
L’idea di affrontare questo argomento mi è venuta dopo aver seguito un corso sul piacere, e nello specifico il piacere femminile, tema piuttosto in voga ultimamente in campo sessuologico.
Il tema del piacere è complesso e affascinante; quando poi lo leghiamo alla sfera sessuale può richiamare l’idea di qualcosa di molto desiderato ma anche di potenzialmente ambiguo, soprattutto in relazione all’amore, che è il sentimento che mi pone alla ricerca del bene dell’altro. Allora il piacere può essere considerato per un verso l’espressione della profonda armonia tra le due persone, per l’altro un ostacolo a questa armonia, perché rivolto egoisticamente a se stessi. Questa ambiguità può portare qualcuno a considerare il piacere e l’amore come inconciliabili, cioè come se uno escludesse l’altro. Sarà così? Ma che relazione c’è tra amore e piacere?
Forse è più facile rispondere a questa domanda se allarghiamo lo sguardo e usciamo dalla sfera dell’agire sessuale.
Partiamo dall’inizio: se cerco sul vocabolario la parola PIACERE trovo:
senso di viva soddisfazione che deriva dall’appagamento di desiderî, fisici o spirituali, o di aspirazioni di vario genere. Il piacere è un sentimento o una esperienza, più o meno durevole, che corrisponde alla percezione di una condizione positiva, fisica o psicologica, proveniente dall'organismo. (Treccani online)
La prima cosa che mi salta all’occhio è che in queste definizioni si parla, guarda caso, di corpo, di psiche e di spirito: i tre piani della casa/persona di cui parlavamo lo scorso incontro.
Le definizioni citate prima sono molto belle e positive…potrei dire piacevoli! Mi pare suggeriscano che piacere, felicità, benessere vadano insieme, siano legati l’uno all’altro. Possiamo anche dire che tendiamo a dare valore alle esperienze che viviamo anche a partire dalla quantità di piacere che ci procurano: la bontà di un piatto, la bellezza di un film, la qualità del tempo passato a parlare con un’amica. Nello stesso modo classifichiamo le esperienze come sgradevoli se in esse non abbiamo trovato piacere: una lezione noiosa, un dolore fisico, un ambiente che provoca fastidio (per esempio perché troppo caldo, rumoroso, sporco), un momento imbarazzante.
Quindi si può dire che istintivamente, inconsciamente, ognuno di noi cerca il piacere, nel senso che preferisce non provare dolore, non essere scomodo, non soffrire; non è che si pretenda di provare sempre sensazioni belle e eccitanti, ma almeno la pace, l’equilibrio, il ben-essere, cioè stare bene nella situazione in cui siamo. Alla fine, Freud non aveva tutti i torti quando ha formulato il principio del piacere come motore della realtà psichica e diamo ormai per assodato che ciò che muove la psiche porta con sé e influenza anche il corpo e la libertà. (sempre casa a tre piani!)
Mi fermo ora un attimo sul piano fisico: perché provo piacere? Semplificando tantissimo, posso dire che provo piacere perché il cervello, attraverso gli organi di senso e il sistema nervoso, riceve delle sollecitazioni che riconosce, elabora e di conseguenza produce delle sostanze (che chiamiamo ormoni, o neurotrasmettitori) che disegnano in esso nuovi circuiti; e contemporaneamente producono diverse modificazioni fisiologiche nei tessuti del corpo, che ci fanno provare quella sensazione positiva e appagante che chiamiamo piacere. Ogni volta che ripetiamo un’esperienza che abbiamo riconosciuto come piacevole si ripete lo stesso meccanismo, il cervello la riconosce, la elabora, produce altri neurotrasmettitori che rinforzano i circuiti creati in precedenza, mandando risposte alla periferia, cioè ai vari organi del corpo. Essenzialmente il piacere quindi è una questione di chimica cerebrale.
Nel cervello resta anche il ricordo dell’emozione provata, tanto che possiamo compararlo alla situazione che si ripete, per valutare e confrontare le esperienze. Se un’esperienza che ricordiamo come piacevole, una volta ripetuta non ci provoca lo stesso livello di piacere, registreremo questo fatto che condizionerà la prossima esperienza e così via.
La memoria delle sensazioni provate è quella che ci permette di provare piacere anche solo ricordando un piacere, come guardare una foto mi fa riprovare le emozioni vissute nel momento in cui è stata scattata. Perciò, per esempio, pensare alla persona amata mi fa provare il calore percepito quando lui o lei è vicino a me. È quindi il ricordo di un piacere che mi fa provare nostalgia, cioè il desiderio di tornare in quella situazione; la nostalgia mi dà forza e speranza per attendere il tempo in cui potrò tornare a provare gioia; pensiamo al periodo di distanziamento che abbiamo vissuto, al ricordo di abbracci e contatti con le persone che non abbiamo potuto frequentare per tanto tempo: il ricordo di un piacere (il piacere di rivedere nonni e nipoti, di abbracciarsi) è stato anche un motore per resistere e attendere che il peggio passasse.
Questa memoria del piacere provato fa anche in modo che io abbia un’aspettativa di piacere (o dispiacere) quando mi accingo a ripetere un’esperienza già provata in passato. Sappiamo bene però che la memoria sa fare brutti scherzi: il ricordo di un’emozione o di un piacere, più passa il tempo e più ci ripenso, più può trasformarsi, allontanandosi anche di molto dalla sensazione che ho provato realmente. Il ricordo si colora (o sbiadisce) anche a causa di tutti i pensieri che lo contornano man mano che mi torna alla mente. E così può capitare che quando ripeto un’esperienza piacevole non provo l’emozione che mi sarei aspettata e che ricordavo. Per esempio torno nel ristorante dove ho mangiato un piatto delizioso, ma assaggiandolo di nuovo non mi sembra più così speciale; sarà difficile capire se dipende dagli ingredienti, dal cuoco, dal mio ricordo o da come sono io adesso!
A volte capita di vivere un’esperienza bellissima e perciò la si vuole ripetere…ma la seconda esperienza risulta deludente, e così anche il ricordo bello della prima si affievolisce…che peccato!
A questo punto possiamo dire che il piacere è soggettivo e relativo (ognuno lo prova in modo diverso e dipende da tanti fattori che possono variare).
Torno alla domanda iniziale: che relazione c’è tra piacere e amore?
Mi viene da dire che l’amore, oltre che un sentimento che desidero o che mi trovo a provare per qualcuno, è un bisogno fondamentale per la vita di una persona.
L’amore è necessario come l’aria che si respira, come l’acqua e il cibo che ci nutre.
Ma prima ancora di provare amore, l’amore si riceve. È quello che succede a un bambino quando nasce, anzi ancora prima di nascere: nel grembo di sua madre, fa esperienza di essere accolto, custodito, protetto e nutrito. Sentirsi amati vuol dire sentire che un altro ha cura di me, del mio bene, mi accoglie proprio così come sono ed è lì per me; grazie a lui non sarò solo, non avrò motivo di disperarmi nei momenti bui.
(Mi ascolto dire queste parole e scopro che ho descritto quello che sento essere l’amore di Dio per me…l’Amore in cui ho fede).
Per un bambino vivere l’esperienza di essere custodito in grembo, l’esperienza di essere amato (amato anche solo con il corpo della mamma: so bene che ci sono situazioni in cui una donna non è felice e non riesce ad accettare il figlio che è in lei, ma nonostante questo, anche suo malgrado, il suo corpo custodisce e fa crescere il bambino… in questo caso nella mamma i piani della casa lavorano ognuno come sa, in attesa di cercare un accordo). Stavo dicendo che per il bambino vivere in grembo sarà senz’altro un piacere: ricevere tutto ciò di cui si ha bisogno senza neanche chiederlo, lasciare che la mamma si occupi di tutti i problemi, ricevere appena possibile coccole e paroline affettuose…sembra di stare in paradiso!
Tanto è vero che il bambino, dopo la nascita (e forse per tutta la vita) sarà felice di rivivere le sensazioni provate in utero: a chi non piace rannicchiarsi al calduccio sotto le coperte? O lasciarsi cullare da una sedia a dondolo? O stare nell’acqua, o in riva al mare ad ascoltare le onde? Tutte situazioni che ricordano quanto vissuto durante la propria gravidanza!
Allora ecco che il piacere si lega all’amore: sentirsi amati è bello, ci fa stare bene, ci dà piacere.
Crescendo, poi, il bambino svilupperà una relazione di attaccamento nei confronti di coloro da cui si sente amato; sperimenta quello che mi piace chiamare l’amore di riconoscenza, cioè il desiderio di ricambiare quanto ricevuto, il desiderio di mantenere e consolidare questo speciale legame con chi gli vuole bene (o comunque con chi si occupa di lui: anche se non lo fa con amore, viene comunque riletto in questo senso dal bambino).
C’è un’altra relazione di affetto importante, fonte di piacere, che si vive non solo da piccoli ma ad ogni età; parlo dell’amicizia, in cui il piacere sta nell’essere insieme, condividere passioni ed esperienze, nel confidarsi e sostenersi reciprocamente. Una forma di amore più attivo e “alla pari” che ha come caratteristica quella di essere condiviso con diverse persone.
Quanto è mancato in questo periodo, soprattutto ai più giovani, il piacere di stare con gli amici?
Arriviamo infine all’amore di coppia, quello caratterizzato sessualmente. Amare una persona tanto da voler condividere ogni aspetto dell’esistenza, compresa la genitorialità, in un percorso a lungo termine; non si può iniziare un cammino del genere senza immaginare che sia piacevole, che vantaggio ne avrei? Cosa me lo fa fare? O chi?
Penso che il piacere legato all’agire sessuale sia stata una bellissima pensata della natura (per chi crede, di Dio) per garantire la tenuta della coppia e il perpetuarsi del genere umano. E anche un incentivo per non arrendersi nella ricerca della persona giusta, in modo che anche dopo una grossa delusione, magari col tempo, torni la speranza di incontrare l’anima gemella.
Le persone esprimono i sentimenti e i pensieri attraverso le parole e i gesti. L’amore ha una gestualità specifica, diversa da quella delle relazioni parentali, diversa dall’amicizia. La gestualità sessuale, che comprende l’area genitale, attiva delle risposte sensoriali molto accentuate. È patrimonio comune ritenere che il piacere più grande che si possa sperimentare è l’orgasmo che si raggiunge durante il rapporto sessuale. Per la verità, succede, nelle prime fasi dell’innamoramento o anche più in là nella relazione, che solo sfiorarsi la mano, o l’accenno di una carezza possa provocare emozioni e sensazioni molto forti, per non parlare del bacio e poi dei gesti che diventano via via più intimi e intensi.
La gestualità dell’amore però non è fine a se stessa, serve a dimostrare all’altro ciò che provo, serve all’altro per dimostrarmi ciò che lui prova per me, serve a farci capire che il nostro amore è reciproco. Infatti, il contatto fisico (abbracci, baci, rapporto sessuale) fa produrre al cervello ossitocina, l’ormone del legame, quello che ci suscita il desiderio di mantenere la vicinanza, la fedeltà alla persona con cui condividiamo il gesto, o quel particolare momento. Questo, del resto, vale non solo per la coppia, ma succede per esempio anche tra la mamma e il bambino, specie durante l’allattamento al seno.
L’incontro amoroso promette piacere, genera piacere, ma secondo me non conviene che il piacere sia lo scopo dell’agire sessuale.
Direi che il nodo è tutto qui. Il piacere è come il frutto di un albero: se pianto un albero di arance, lo nutro, lo proteggo e lo curo, posso aspettarmi di raccogliere arance, al momento opportuno. Quello che mi permetterà di cogliere e assaporare le arance sarà il lavoro che ha preceduto quel momento, che è dipeso da me e dalla natura.
Anche il piacere sessuale è il frutto di tutto ciò che ha preceduto il suo arrivo; non è il motivo, non è lo scopo, questo almeno all’interno di una relazione d’amore.
Da qui viene la confusione: l’amore genera piacere, ma non sempre il piacere fa crescere l’amore.
Tornando al corso a cui ho assistito, l’approfondimento delle conoscenze sulla neurofisiologia ci permette di sapere che a determinate stimolazioni possono corrispondere reazioni e sensazioni piacevoli. Ci sono quindi tecniche e accorgimenti che facilitano, per esempio, il raggiungimento dell’orgasmo o la possibilità di provare piacere anche al di fuori del rapporto sessuale “tradizionale”. Il raggiungimento dell’orgasmo è sufficiente per vivere gesti gioiosi e soddisfacenti? Non lo so, visto che contemporaneamente ci sono studi che dimostrano che una buona percentuale di coppie “disfunzionali”, cioè che non riescono a realizzare pienamente la sessualità a livello “tecnico”, vivono una relazione di coppia felice a appagante.
La conoscenza è sempre un bene, perché ci aiuta a capire, ad essere consapevoli, e anche a dare senso a ciò che ci succede. La conoscenza reciproca crea un ponte che facilita l’incontro e la comprensione. Ben venga quindi l’approfondimento sulla fisiologia del piacere, sulle differenze tra la risposta femminile e quella maschile, sulla funzione degli ormoni, sulle varianti legate all’età ecc.
L’unico rischio che vedo durante questo processo di conoscenza, o di autoconoscenza, è che l’interesse si fissi sullo “sperimentare” il piacere, o sulla tecnica più funzionale a raggiungerlo, perdendo di vista l’incontro con l’altro, l’abbandonarsi e l’accogliersi reciproco.
Perché se lo scopo è il piacere provato o fatto provare, l’altro può diventare secondario, funzionale, forse anche sostituibile.
Invece l’ALTRO è importante: perché la sessualità si realizza, è pensata dalla natura (da Dio) in ottica relazionale: non dipende solo da me, non basto solo io, è l’incontro di due realtà che vogliono diventare una. Questo non è indifferente, anzi questo è tutto. Non ha senso pensare al rapporto sessuale (ma neanche al bacio, alla carezza) se non “con te”: non con un altro chiunque a caso, ma con una persona specifica che puoi essere solo tu! (Tu con me per tutta la vita, o tu per il tempo in cui riusciamo a stare insieme: questo paradossalmente vale anche per gli incontri occasionali: tu che ci sei adesso, al posto di un altro). Il modo con cui vivo un gesto, il piacere che provo e il ricordo che ne traggo sono determinati dalla persona con cui li sto vivendo, dalla relazione che ho con lei.
Ed è ragionevole pensare che il ben-essere con l’altro sarà maggiore e più completo se il legame stimolato dall’ossitocina (corpo) si intreccia con l’intesa emotiva, i sentimenti (psiche) e va a realizzare progetti e scelte (spirito)
Direi quindi che il piacere generato dai gesti d’amore è un elemento importante che fa crescere l’unione nella coppia, un dono che non necessariamente si identifica con l’orgasmo, ma anzi che va oltre, che acquista intensità e sfumature diverse, che può crescere e trasformarsi con il tempo e l’esperienza …e che come ogni dono va accolto, goduto, apprezzato appieno, senza paura, vergogna o sensi di colpa. Perché il piacere si trasforma in gioia quando chi lo prova riesce a dargli un senso buono, che fa crescere sé stesso, l’altro, l’amore della coppia, insomma quando diventa il piacere di amarsi
un desiderio che si trasforma in gioia quando, provandolo, riesco a dargli un senso buono per me e per la persona con cui lo condivido
20.06.2021

