DI MADRE IN FIGLIA
una volta superate le inevitabili incomprensioni dell'adolescenza, tra madre e figlia si instaura spesso un legame di solidarietà e di supporto reciproco, affettuoso e rassicurante, utile tanto per la figlia che per la madre
11.01.2025

“Il meglio deve ancora arrivare”.
Con in mente questa frase, mi permetto di indirizzare la mia riflessione di questa sera su un versante molto personale, a causa di un evento significativo che mi sono trovata a vivere pochi giorni fa, cioè la morte della mia mamma. Chiedo scusa perché so che per qualcuno quello della morte è un argomento difficile da affrontare, e spesso si cerca di evitarlo, nel timore che risvegli paure o ricordi dolorosi. Da parte mia, ho sempre avuto (e tutt’ora ho) un rapporto piuttosto sereno con la morte, che non è se non una fase naturale caratteristica di ogni essere vivente su questa terra: tutte le persone attraversano la storia occupando un certo numero di giorni, percorrendo una parabola evolutiva che li porta ad esaurirsi fino a tornare alla terra e a riconsegnare in altra forma il materiale biologico di cui erano costituiti, in un equilibrio saggio e funzionale che dura da migliaia di anni.
Noi cristiani crediamo inoltre che questa dissoluzione del corpo è segno del passaggio ad una vita piena e in comunione col Creatore, una vita allo stesso tempo eterna e compiuta. Contemplare questo destino mi permette di vivere senza ansie rispetto al tempo che passa e all’invecchiare, senza la disperazione di immaginare un futuro buio e terribile, senza la paura di andare incontro ad un vuoto fatto di nulla. Non posso immaginare l’angoscia che prova, pensando alla morte, chi non crede che essa porti ad una qualche trasformazione, ad una rinascita, ad una salita ad un livello “altro” che ci permetta di comprendere quanto abbiamo vissuto sulla terra.
Per i cristiani è il paradiso, il perdersi nell'abbraccio eterno di Dio padre; altre religioni o culture danno risposte diverse, sempre con l'intento di dare un senso al terminare della vita terrena, una continuità che in qualche modo mantenga vivo il ricordo di chi ci ha preceduto.
Fin qui mi sono mantenuta su un piano razionale. Se invece mi sposto al piano più emotivo, non posso non riconoscere che la morte delle persone che amiamo è un dolore, sia perché spesso è preceduta dalla sofferenza della malattia, sia perché comporta un grande coinvolgimento emotivo e reclama un distacco, una separazione definitiva.
Solitamente, nel dolore che proviamo per la perdita di una persona cara si mescolano il dispiacere per le esperienze terrene che le vengono negate e la tristezza per la sua mancanza nella nostra vita futura. Se siamo sinceri fino in fondo, dobbiamo riconoscere che la maggior parte delle volte in cui si piange per i morti, in verità si piange per noi stessi, per la sofferenza provocata in noi dalla perdita della persona cara. Perché è evidente che sia che riteniamo la morte la fine di tutto, sia che la intendiamo come un passaggio ad una realtà ultraterrena, esso, il dolore, non fa parte dell’esperienza del defunto, che appunto non lo proverà più.
Con la mamma però è diverso. O almeno a me è capitato di vivere questa esperienza in modo diverso da tutti gli altri lutti sperimentati in passato… e andando avanti con gli anni, succede sempre più di frequente di dover salutare conoscenti, parenti e amici.
Ascoltando e ricordando quanto raccontato da altre donne (parenti, amiche, colleghe) mi sembra però che questa impressione sia piuttosto condivisa; partendo da quelle che sono solo mie sensazioni e osservazioni provo allora a capire il perché.
Il legame, la vicinanza, la comunione che esiste tra mamma e figlia è caratteristica e irripetibile. La relazione che le lega è misteriosa e profonda, innata e inestinguibile, diversa dal legame di coppia, che pure è il più importante e fecondo della vita; quest'ultimo, però, è un rapporto tra pari che si sono scelti e accolti, con il desiderio e la volontà di camminare insieme per costruire un futuro.
Il legame con il genitore invece è vissuto su un livello diverso, dapprima di dipendenza, per diventare sempre più autonomo, paritetico, collaborativo, fino a ribaltarsi e trasformarsi in attenzione, sostegno e accudimento quanto più avanza l'età.
E sebbene questo valga per entrambi i genitori, quello tra mamma e figlia, nella mia esperienza, risulta più incisivo, più viscerale.
La figura materna è un riferimento fondamentale per tutti i bambini, sia maschi che femmine, e sicuramente una mamma ama e accompagna nella crescita con lo stesso impegno e apprensione sia i figli che le figlie. È naturale però che con una figlia ci siano alcuni aspetti di vicinanza, di coincidenza, che con un maschietto non ci possono essere; il fatto di essere femmine rende la madre e la figlia in un certo senso uguali, nello stesso modo in cui rende la mamma diversa dal figlio maschio.
Sappiamo bene che la differenza di genere, scritta nei cromosomi e manifestata nel corpo, innerva anche tutti i piani che costituiscono la persona, cioè gli aspetti emotivi, cognitivi, relazionali.
Maschi e femmine non hanno solo un corpo diverso, ma anche, in senso generico, modalità diverse di percepire e esprimere le emozioni, di elaborare i pensieri, di esprimersi verbalmente e fisicamente. Queste differenze diventano sempre più evidenti col passare del tempo.
Guardando i suoi figli crescere, una mamma vede il maschio diventare sempre più diverso da lei, sempre più appartenente all'universo maschile. Mentre nella figlia riconosce vissuti, passaggi, esperienze simili a quelle che ha vissuto lei alla sua età. Fatte salve le dovute differenze generazionali, una mamma rivivere nella figlia la sua storia e si offre, anche inconsapevolmente, come modello per accompagnarla a diventare la donna che sarà da adulta, perché diventare donna è un percorso graduale e complesso che avviene soprattutto attraverso la condivisione di esperienze e la trasmissione di conoscenze da donna a donna.
Le mamme sentono forte questo compito, che diventa significativo in alcuni momenti della vita della figlia; il primo di questi momenti è nella pubertà, quando l'arrivo del menarca sancisce la trasformazione della bambina in donna.
È per aiutare le mamme e le figlie a vivere bene questa trasmissione di saperi femminili che la mia amica Fabia diversi anni fa ha ideato un progetto dal titolo IL CORPO RACCONTA, che offre alle coppie di mamme e figlie di 11/12 anni la possibilità di vivere, insieme e all'interno di un piccolo gruppo, un'esperienza alla scoperta della bellezza di essere donne.
Col tempo le animatrici di questo progetto sono diventate numerose e lo realizzano su tutto il territorio nazionale. Io lo faccio ormai da più di 15 anni ed ogni volta è emozionante vedere le figlie e le mamme, fianco a fianco, lavorare, divertirsi, confidarsi, scambiarsi sguardi di affetto e di intesa.
Un altro momento in cui la vicinanza della madre è molto importante per una ragazza è quando ha bisogno di parlare d'amore: dell'amore che spera di trovare, che ha trovato, che teme di perdere... Una vicinanza fatta di ascolto, di consiglio, a volte solo di un abbraccio consolatorio.
Forse il momento in cui la presenza della madre è più importante e desiderata è la maternità, quando cioè la figlia diventa madre a sua volta. È il momento in cui le due donne si ritrovano sullo stesso piano e possono finalmente riconoscersi: la figlia comprende cosa significa essere madre, la madre comprende che la sua bambina è una donna. Mi torna in mente un brano della giornalista Marina Corradi di diversi anni fa, in cui immaginava l'emozione di vedere la figlia crescere e diventare mamma, chiedendole il permesso di esserle vicina in quei momenti.
Ho provato quelle emozioni, e posso dire che davvero esiste qualcosa che lega le generazioni di madre in figlia, qualcosa che si percepisce in modo particolare in alcuni momenti della vita, come l'arrivo di un nipotino, ma che è evidente da subito, da quando inizia il tuo rapporto con tua figlia. Un'altra immagine suggestiva mi è stata suggerita da una psicologa che diceva che ogni donna ha alle spalle sua madre, che ha alle spalle sua madre, e così via in una catena umana di generazioni in cui ogni figlia ha ricevuto il codice femminile materno e lo ha un po' trasformato prima di trasmetterlo alla figlia, che ha fatto lo stesso, via via fino ad arrivare a noi.
Le donne hanno innato il dono di coltivare e mantenere i legami tra loro, di sentirsi parte di un universo femminile, percepito a volte come sotterraneo e alternativo a quello della vita di tutti i giorni, in cui uomini e donne collaborano e interagiscono, con tutte le incomprensioni e i fraintendimenti legati alle reciproche diversità.
Per questo, una volta superate le inevitabili incomprensioni dell'adolescenza, tra madre e figlia si instaura spesso un legame di solidarietà e di supporto reciproco, utile tanto per la figlia negli anni intensi della giovinezza e maturità, quando la vita corre veloce tra lavoro famiglia bambini problemi... Quanto per la madre che, con l'avanzare degli anni, percepisce la figlia come una presenza fidata, affettuosa e rassicurante, tanto da affermare, come dice una mia amica, che le figlie grandi sono una benedizione.
È quello che anch'io provo per le mie, che oltre a richieste di consigli e compagnia nei momenti difficili, mi donano affetto, attenzioni e gesti di aiuto concreto che illuminano la mia vita in un modo diverso da quanto fanno i miei figli maschi, anch’essi comunque motivo di gioia, ammirazione e gratitudine.
So che non tutte le relazioni tra madre e figlia sono facili; succede che in alcuni casi storie personali, condizionamenti ambientali o le difficoltà della vita possono creare incomprensioni, ferite, risentimenti tra l’una e l’altra. Nel mio caso non è stato così, ricordo la nostra relazione piuttosto serena e collaborativa nelle diverse fasi della vita; di mia madre ho sempre apprezzato con stupore l’apertura mentale, la “modernità”: lei, donna semplice, dalle origini e dalla cultura modeste, sapeva affrontare con spontaneità i temi “difficili” (a quel tempo come oggi) dell’educazione affettiva, dei sentimenti e della sessualità, offrendo contemporaneamente, insieme a mio padre, l’esempio di uno stile di vita di coppia in cui l’amore, il rispetto e la stima reciproca sono gli ingredienti principali. Immagino che tutti questi aspetti abbiano avuto una forte influenza sulle mie scelte di vita, sia in ambito famigliare che professionale. Di questo mi sento in debito di gratitudine.
Da adulta per me è poi stato possibile riconoscere anche i limiti e gli errori commessi da mia madre, nei miei confronti e nei confronti degli altri membri della famiglia. C’è chi dice che si diventa adulti quando si riesce a perdonare gli errori dei propri genitori, o almeno a intravedere che possano essere stati commessi con l’intenzione di fare del bene. È questo un passaggio secondo me fondamentale per fare pace e prepararsi a vivere un’ulteriore fase del rapporto con i genitori, quella segnata dal loro declino.
È nell’ordine naturale delle cose che, invecchiando, i genitori mostrino aspetti crescenti di insicurezza e fragilità, spesso in concomitanza all’aumento dei problemi di salute e di decadimento cognitivo; per i figli, abituati fino a poco prima a considerarli come importanti punti di riferimento e risorse inesauribili, può essere uno shock affrontare ed accettare questo cambiamento. Questo è il momento in cui gli equilibri si capovolgono e tocca al figlio e alla figlia diventare genitore della propria madre e del proprio padre. È un’importante opportunità per guardare con occhio affettuoso e misericordioso, amorevole i propri genitori, dedicarsi a loro con il sincero desiderio di ricambiare tutta la cura e il tempo che loro ci hanno dedicato. Ho vissuto questa fase con entrambi i genitori, che per un certo periodo di tempo hanno avuto bisogno di sostegno emotivo e accudimento fisico. Sono comunque momenti di prova, che possono mettere in crisi i figli (e che hanno messo in crisi me) sia psicologicamente che a livello pratico. Occorre riorganizzare i tempi della propria famiglia, che rischia di venire trascurata. Per fortuna invece questa può diventare l’occasione per stimolare una maggior autonomia degli altri suoi membri (marito e figli) che riusciranno ad arrangiarsi diversamente e a trovare strategie funzionali al benessere di tutti.
I bisogni dei genitori anziani non possono però essere soddisfatti recando danno alla propria vita di coppia o famigliare; con questa preoccupazione forse negli ultimi mesi mia madre ha voluto trasferirsi in una struttura per anziani, per non pesare eccessivamente su di noi figli. Ho così scoperto che accettare di accontentarla pur nel disaccordo è un’altra importante forma di amore, segno di rispetto e riconoscimento del punto di vista dell’altra, importante anche quando si tratta di una persona debole e sofferente.
Lasciar andare, anche questo è un passaggio difficile per noi donne-mamme-figlie, noi che vorremmo tutte le persone che amiamo sempre qui vicine! Mi chiedo se questo desiderio sia sempre a favore delle persone amate o non derivi a volte dal nostro bisogno di controllo e di sentirci indispensabili…
Nonostante i sensi di colpa e le resistenze, mia mamma ha potuto vivere per un paio di mesi in una struttura piccola, accogliente, piacevole quanto lo possono essere posti del genere. È stato un periodo se non felice, un po’ migliore di quello passato a casa, senza più la preoccupazione per i sacrifici che noi figli eravamo costretti a fare, con più stimoli e più relazioni, miglior cura e assistenza.
Alla fine, la morte arriva. Fa parte della vita, come dicevo all’inizio. Chi ha la grazia della fede riesce a darle un senso che supera la disperazione e il dolore. Riesce a darle anche il valore di una chiusura e di un nuovo inizio. Per molti, anche senza queste certezze, è l’occasione di una vicinanza. Difficile dire di quanto si sia resa conto mia mamma, ma il giorno che ha preceduto la sua morte non è mai stata sola, attorniata a turno da figli, nipoti, parenti. Di sicuro è stato importante per noi salutarla e farlo insieme. Prepararci insieme a lasciarla andare, sapendo che era il momento.
Ma è vero, o almeno lo è stato per me: dire addio alla mamma è più difficile. Si chiude un cerchio che però lascia una mancanza che ci confonde, che ci impaurisce per un po’, il tempo di accorgerci che dobbiamo solo abituarci ad una presenza diversa, ma non per questo meno vera.
Dicevo che è tipico della natura femminile cercare di tenere salde le reazioni, unire le persone. Un ricordo bello che mi resterà di questi ultimi tempi sono i giorni che ho passato con i miei fratelli a svuotare la casa ormai disabitata di mia mamma, in cui ci è capitato di scoprire episodi di vita famigliare sconosciuti e di riscoprire particolari dimenticati rivelati da oggetti, libri, fotografie. Ci siamo sentiti più uniti, ci siamo conosciuti più profondamente, abbiamo meglio compreso e apprezzato i nostri genitori e la loro vita, le loro scelte, il loro coraggio. Non sarebbe potuto succedere prima; ancora una volta scopro che la morte non è solo dolore ma porta doni di amore, anche se velati di tristezza. Porta ricordi da tramandare, come l’anello di fidanzamento di mia mamma che indosserò ogni tanto e che potranno conservare un giorno le mie figlie.
Mi accorgo che in queste riflessioni continuamente il mio essere figlia e il mio essere madre si fondono e si sovrappongono, tanto che è difficile, quasi impossibile per me pensarli come ruoli distinti.
Se penso a come sono ad oggi, e la mia è un’età che ben si presta ai bilanci, usando una metafora, direi che mi sento come il tronco di un albero le cui radici affondano nel terreno costituito dalla relazione con mia mamma, e in parte anche con la nonna, mentre in alto si allungano i rami che si slanciano a tessere le relazioni con le figlie, rami su cui potranno gemmare tenere foglioline: una di queste si aprirà a breve, è la nipotina che tra poche settimane verrà alla luce, ultimo anello di una infinita catena di donne di cui faccio parte.
Si avvera così il detto che vuole che in famiglia, per ogni vita che finisce ce ne sia una nuova che comincia.
Concludo sperando di non aver rattristato troppo chi è rimasto ad ascoltare fino ad ora, perché non è sicuramente questo il mio scopo. Anzi chiedo scusa se mi sono dedicata uno spazio così autobiografico, spero che possa essere stato utile a qualcuno che magari ha vissuto o sta vivendo un’esperienza simile.
