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AMARE TANTO DA SPOSARSI

Uno degli appuntamenti che si rinnovano in autunno, almeno nella mia parrocchia, è il percorso proposto ai fidanzati che intendono ricevere il sacramento del matrimonio. Ormai da decenni io e mio marito, insieme ad altre coppie, accompagniamo questi giovani per qualche incontro, lungo un percorso che ha lo scopo di far crescere, o addirittura i qualche caso far nascere, far sbocciare la consapevolezza rispetto a come il sacramento del matrimonio si inserisce nel loro cammino di coppia e di fede, e come questo sacramento illumini e plasmi l’esperienza matrimoniale.

Infatti il senso di questi percorsi non è tanto quello di aiutare i fidanzati a prendere la decisione di condividere la vita o di formare una famiglia (questo spesso lo hanno già fatto, alcuni già da lungo tempo: non stupisce più nessuno, ormai, il fatto che la grande maggioranza dei fidanzati che si accostano al matrimonio religioso convivano e spesso abbiano già i loro bambini).

Quello che invece diventa il focus di questi momenti - importantissimi perché “obbligano” a fermarsi per pensare, ascoltarsi a vicenda, confrontarsi, ritagliandosi un tempo di coppia “dedicato” al di fuori dei ritmi vorticosi della vita di ogni giorno - è concentrarsi sulle caratteristiche del matrimonio come sacramento, caratteristiche peculiari e fondanti, che possono anche non  ritrovarsi in altri  tipi di  unioni,   sia civili che religiose

(di religioni diverse da quella cattolica), sia, diciamo, private, cioè non celebrate né sancite dalla comunità civile.

Conoscere, comprendere e accogliere le basi del matrimonio come sacramento è fondamentale per poterlo vivere consapevolmente, per dare ragione della propria scelta e per trovare in essa la forza e il coraggio di percorrere quel cammino come realizzazione della vocazione personale e di coppia, e di farlo durare magari anche tutto il resto della vita.

Conoscerle e comprenderle anche paradossalmente per scegliere con più libertà di non aderirvi, perché magari non sono le basi su cui voglio costruire la mia unione: in fondo, non è obbligatorio sposarsi, né tanto meno sposarsi in chiesa! 

Perché non tutti siamo d’accordo su quali sono gli ingredienti importanti per una unione felice, stabile, duratura. Ogni coppia tendenzialmente li elabora partendo dall’esperienza, da quanto trasmesso dalla famiglia, dall’influenza ricevuta dall’ambiente in cui vive, dai propri desideri e aspirazioni.

I fondamenti del sacramento del matrimonio, invece, direi che partono dalla consapevolezza che esso è appunto un SACRAMENTO, cioè segno della grazia che Dio opera nei suoi figli. Il matrimonio celebrato in chiesa, perciò, coinvolge tre protagonisti: la sposa, lo sposo e Cristo, che insieme camminano nella costruzione, giorno per giorno, della storia d’amore della nuova famiglia. (quando con alcuni amici abbiamo dato vita a un percorso per giovani sposi, lo abbiamo chiamato NON C’è DUE SENZA TE proprio per sottolineare che la presenza di Gesù (il “te” del titolo) costituisce la realtà della coppia, che nello stesso tempo diventa segno di questa presenza, mostra cioè agli altri un riflesso dell’amore di Dio per l’uomo, dell’amore di Gesù per i suoi fratelli, per tutti noi.

Il “corso” parrocchiale per i fidanzati serve a questo, a far intravedere quanto è grande questo sacramento, perché i fidanzati possano sceglierlo nella vera libertà, ad occhi aperti, consapevoli di ciò a cui dicono sì.

Da sempre, sposandosi in chiesa, marito e moglie dicono tre grandi Sì; il primo sì è al PER SEMPRE, (quando rispondono alla domanda del sacerdote “siete disposti nella nuova via del matrimonio ad amarvi e onorarvi l’un l’altro per tutta la vita?” ) cioè promettono di impegnarsi a mantenere vero e vivo l’amore che li unisce, scegliendo di rinnovare per ogni giorno che verrà, la loro promessa di fedeltà a questa scelta e in questo diventano segno della fedeltà dell’amore di Dio verso le sue creature, noi.

Il matrimonio cristiano è indissolubile perché indissolubile è il patto d’amore che Dio ha instaurato con le sue creature.

Sposandosi, dicono sì al dono totale, esclusivo, cioè fedele l’uno all’altra, (quando gli sposi dicono: “prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”) esprimendo la volontà di divenire una unità che li “coniuga” appunto, pur senza cancellare le due individualità, in un mistero che richiama l’unione della Trinità, come a sottolineare che l’essere umano esiste all’interno di una relazione, in cui è in grado di donarsi completamente e accogliere il tutto dell’altro, dell’amato, dell’amata, cioè di quel TU particolare scelto e percepito come dono prezioso.

Sposandosi, infine, dicono sì alla vita, (alla domanda “Siete disposti ad accogliere con amore i figli che Dio vorrà donarvi?”) cioè all’accoglienza di tutto ciò che l’amore, che è sempre fecondo, genera in loro, tra di loro e nella comunità di cui fanno parte. Perché l’amore è vita, e la vita chiede di essere accolta.

Sposarsi in chiesa quindi è scegliere liberamente di lasciarsi condurre, nelle scelte e nei progetti, da questi fondamenti, da questi valori morali che fanno da riferimento, incoraggiano e sostengono le nostre fragilità, i nostri limiti, le nostre imperfezioni. Sposarsi in chiesa è mettersi in gioco, puntare il tutto per tutto, nella certezza che non ci sarà un momento in cui la grazia di Dio verrà a mancare, che quindi non tutto dipenderà esclusivamente dalle nostre forze, possiamo avere il coraggio di giocare tutto il futuro senza sembrare sprovveduti o ingenui…nonostante gli errori, le cadute, insomma il peccato, ogni giorno potrò ri-cominciare, ri-scegliere ri-amare il mio sposo, la mia sposa, potrò chiedere scusa per i miei sbagli e perdonare i suoi.

Questa idea del matrimonio non è scontata, anzi per qualche verso si scontra con la realtà che molti di noi osservano e conoscono: tante coppie che sembravano solide si separano, tante famiglie si disfano, molte persone scelgono di vivere gli affetti senza creare legami definitivi o neanche definiti…

Agli occhi di molti chi si sposa in chiesa viene considerato coraggioso, temerario o, peggio, ancorato a una visione anacronistica delle relazioni e della famiglia. Non giudico chi muove critiche a chi sceglie di sposarsi (e per di più di sposarsi in chiesa) perché queste critiche probabilmente nascono da esperienze personali, sofferenze, paure, ragionamenti ponderati.

Proprio per questo non è scontato che i fidanzati abbiano consapevolezza del significato del matrimonio cristiano. Ed è anche importante chiarirsi le motivazioni di questa scelta, perché non sia solo la richiesta di una benedizione, benaugurante, un po’ come un rito scaramantico e superstizioso, e neanche la celebrazione di una giornata speciale da ricordare, una tradizione da mantenere, un tributo da pagare per onorare le aspettative o il desiderio delle famiglie di origine e così via.

Il matrimonio è un sacramento che chiede di essere celebrato ad occhi aperti, io credo che il motivo ragionevole per chiedere questo sacramento è aver maturato un amore sincero e profondo per il proprio futuro coniuge e immaginare con lui il percorso di cammino verso la pienezza della santità; perlomeno questo è quello che ha spinto me e mio marito a spossarci.

Siccome, però, la storia di ognuno è diversa, per altre coppie questa scelta può essere dipesa da altre motivazioni, per qualcuno da un bisogno concreto, o da condizioni particolari; può anche essere stata una scelta fatta senza tutta questa grande consapevolezza, e ciononostante poi la vita matrimoniale è continuata felicemente, con ricchezza e soddisfazione.

Come tutti i sacramenti, il matrimonio è sostenuto dalla grazia di Dio che “lavora” nel cuore e nella mente degli sposi. Essa però non è sufficiente da sola a far durare, a tenere vivo il matrimonio, perché contemporaneamente agisce attraverso la libertà degli sposi.

Quindi: non basta scegliere di sposarsi in chiesa per garantirsi la riuscita e la durata del matrimonio! Non è una formula magica, un amuleto che protegge dalle avversità.

D’altra parte, ci sono coppie che riescono a realizzare i fondamenti del matrimonio cristiano (cioè costruire una relazione stabile, progettuale, esclusiva, generativa) senza aver ricevuto il sacramento, in una forma di matrimonio “naturale”; donare la propria totalità, impegnarsi giorno per giorno in un progetto d’amore comune: questo è il matrimonio, è la proposta d’amore che Dio ha pensato per i suoi figli, (ricordiamo Genesi cap. 2) e questo è vero per tutti, anche per quei figli che non lo sanno, se ne dimenticano, oppure a cui non interessa riconoscerlo, quindi non sentono il bisogno di celebrarlo.

 

Ecco, ho cercato, in modo sommario e molto approssimativo, di raccontare “gli ingredienti base” del matrimonio cristiano. Ingredienti che ormai, dal Concilio Vaticano Secondo, conclusosi quasi sessant’anni fa, si trovano in numerosi scritti del magistero della Chiesa, in una continuità che da san Paolo VI -soprattutto con l’enciclica Humanae Vitae- passa a san Giovanni Paolo II, con l’esortazione apostolica  Familiaris Consortio e con il ciclo delle  catechesi del mercoledì, divenute successivamente il volume Uomo e donna lo creò, e che hanno segnato la nascita della teologia del corpo, splendido fondamento dell’attuale antropologia dell’amore cristiano; il testimone è passato poi a papa Benedetto XVI, che ha ripreso il tema dell’amore coniugale nell’enciclica  Deus Caritas Est per arrivare a papa Francesco che, raccogliendo l’eredità dei suoi predecessori, con la semplice profondità che lo contraddistingue, ci lascia l’esortazione apostolica Amoris Laetitia del 2016, ricca di spunti di riflessione e approfondimento a partire dallo sguardo sulla realtà e le sfide tipiche degli ultimi anni, il periodo che stiamo attraversando.

 

È partendo da qui che si racconta il sacramento del matrimonio ai fidanzati ed è bello e disarmante accorgersi di come restino a volte stupiti, esterrefatti da questa “buona novella”, dal vangelo dell’amore e della famiglia che viene loro annunciato, tanto distante da quello che si immaginavano, frutto magari di pregiudizi, retaggi e sentito dire.

A me pare che siano soprattutto due gli aspetti che a volte alcuni fidanzati fanno fatica a rileggere col “cuore nuovo”, cioè libero da fraintendimenti: la fedeltà (o meglio perdonare l’infedeltà) e il significato della sessualità coniugale; su queste due cose è facile trovare dubbi, perplessità, preconcetti.

Per quanto riguarda la prima, spesso partiamo dalla preoccupazione che l’altro sia infedele, senza preoccuparci di curare il nostro desiderio di fedeltà, dando per scontato che l’infedeltà dell’altro giustifichi la rottura del rapporto. Voglio sottolineare, per inciso, che siamo tutti d’accordo che la speranza, il desiderio e l’impegno convergono sul far sì che NON ci sia, l’infedeltà! Di per sé però il tradimento non sancisce la nullità del matrimonio, a meno che non ci siano determinate condizioni. Il nocciolo è che ognuno di noi vive tante infedeltà nei confronti dell’altro, piccole e grandi, e quando mi accorgo di una infedeltà dell’altro non posso non chiedermi se è stata facilitata da una mia disattenzione, dalla mia poca cura, da un fraintendimento, magari involontario. In effetti quella del tradimento con un altro partner sembra l’infedeltà più imperdonabile, quella che fa più paura, quella che ferisce maggiormente (e di fatto lo fa, la ferita brucerà a lungo…) ma l’amore dei coniugi, così come l’amore di Dio, vive di perdono. È la capacità o, meglio, la volontà di perdonare che risulta difficile, pesante, troppo faticosa. È su quello che dovremmo lavorare: sulla capacità di perdonare ogni giorno le piccole infedeltà reciproche. Purtroppo qualcuno sarà chiamato a metterla in campo anche per le infedeltà grandi (…è la vita, fa parte del nostro limite: speriamo non succeda mai, ma chi può saperlo?) e allora dovremmo metterci il desiderio e il cuore, per tentare di riparare quella frattura, quello strappo che è il tradimento, anche facendosi aiutare dall’esterno; almeno provare, non dichiarare subito la sconfitta, valutando con attenzione e delicatezza l’equilibrio tra orgoglio ferito, dignità calpestata e spazio di guarigione, spazio per ricostruire. Questo la società attuale fa fatica a proporlo, perché dichiarare il fallimento dell’attività di coppia, come se fosse un’azienda, è più facile e velocizza la ripartenza verso nuove esperienze…il consumismo delle relazioni?

L’altro aspetto è la sessualità coniugale: troppo spesso rimane l’idea che nel matrimonio (quello cristiano, cioè nella visione della Chiesa) l’unione coniugale abbia l’esclusivo scopo di procreare, quindi è lecito avere rapporti perché ad essi corrisponda il concepimento. Personalmente mi stupisce assai il fatto che un simile pensiero possa perdurare, dato che proprio tutti i documenti del magistero citati prima dicono l’esatto contrario!

Occorre ribadire che aspetto unitivo e generativo sono “coniugati” tra loro, non in concorrenza, non uno a scapito dell’altro; la sfida semmai sarà non cercare di separarli, non volerne vivere uno in esclusiva eliminando l’altro. Ed è bellissimo notare come, nei documenti del magistero non si indica un numero minimo di figli accettabile, anzi la possibilità di sposarsi non dipende neanche dalla capacità biologica di avere figli. Sono infatti possibili matrimoni in tarda età, quando la fertilità si è perciò naturalmente esaurita, o tra sposi biologicamente infertili. Per la verità, nella maggior parte dei casi ci si sposa senza sapere qual è la condizione della fertilità di quella coppia, che, per assurdo, si può aver già avuto un figlio in precedenza o con altri partner e adesso ne è impossibilitata. L’unica indicazione indicata dal magistero rimanda alla libertà di coscienza della coppia che, sola, può valutare come aprirsi alla vita “tenendo in conto le realtà sociali, la propria situazione e i legittimi desideri” (citazione di Giovanni Paolo II fatta da Francesco in Amoris Laetitia). Lo strumento, indicato come facilitante per vivere la sessualità e per gestire in modo responsabile la fertilità è lo stile dei metodi naturali di conoscenza della fertilità (come il metodo Billings, il metodo Sintotermico ecc.) perché questi metodi sono rispettosi della natura, della fisiologia e della dignità personale dei coniugi e non separano i due aspetti intrinseci al rapporto coniugale: l’aspetto unitivo e l’aspetto procreativo, generativo. Questo è il motivo per cui all’interno di molti percorsi in preparazione al matrimonio si riservano degli incontri per approfondire questo argomento. Ma anche per questo aspetto si rimanda comunque alla coscienza dei coniugi, che opereranno avendo come bene principale il bene della coppia e la crescita nell’amore.

Ed è davvero importante chiarire questo passaggio, per cancellare l’impressione, nei giovani, che l’idea della chiesa rispetto alla sessualità sia anacronistica e distorta. Attualmente, per una serie di motivi diversi, la maggior parte delle coppie (sia sposate che non ancora) attua un qualche tipo di gestione della fertilità, spesso facendo uso di contraccezione. È importante avere consapevolezza che ci sono percorsi percorribili e “buoni”, cioè che promuovono il bene e l’armonia della famiglia e il rispetto dei suoi valori, e che possono evitare o limitare vissuti di disagio o di colpa che a volte accompagnano le coppie, e gettare invece una luce positiva, degna, consapevole su questo aspetto che in tanta parte contribuisce a realizzare la vocazione degli sposi.

 

In conclusione, il percorso offerto ai fidanzati che chiedono di celebrare il sacramento del matrimonio è una splendida occasione (per loro e per le coppie che li accolgono) per verificare, approfondire, confrontare le motivazioni, i desideri, le aspettative riguardo a una scelta che è tra le più fondamentali della vita e che merita di essere fatta il più possibile liberi da modelli stereotipati o timori infondati, che possa essere un cammino di testimonianza della bellezza dell’amore che rende i due uno: nel corpo, nel cuore, nello spirito.

come arrivo a scegliere di mettere il mio futuro nelle mani di un altro?

09.10.2021

amare tanto da sposarsi
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