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A SERVIZIO DEL TUO BENE

Il tema che voglio condividere con voi questa sera è, dal mio punto di vista, un tema particolare e sorprendente, nel senso che non l'avevo mai considerato con grande attenzione è il tema del mettersi a servizio.

 

Cercando sul vocabolario, trovo che l’espressione “mettersi a servizio” significa rendersi disponibile per qualcuno o qualcosa; implica dedizione e impegno incondizionato, si realizza attraverso gesti utili e graditi.

Riguardo alla questione, c'è un aspetto "soft", che interpella tutte le coppie e le famiglie, che è quello diciamo più "pratico", organizzativo: chi si occupa di cosa (spesa, pulizie, accompagnare i bambini a scuola ecc.) che viene deciso - meglio se concordato - in base alla disponibilità di tempo di ognuno, alla predisposizione o ai talenti dei componenti della coppia e della famiglia; ad ognuno a suo modo è chiesto di adoperarsi per fare funzionare al meglio la routine famigliare, così come suggerito, o meglio sancito, da uno degli articoli del codice civile che vengono letti al termine della celebrazione del matrimonio.

 

Art 143 CC - Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.

 

L’articolo si riferisce evidentemente al contributo in senso economico, ma possiamo ben allargare il concetto agli altri aspetti della collaborazione per far funzionare il nuovo nucleo che si costituisce.

 

Già su questo tema possono sorgere difficoltà che in alcuni casi diventano motivo di sofferenza e divisione, segno che non viene facile, forse non ci viene neanche naturale anteporre il bene dell’altro, o della famiglia, o di qualsiasi altra realtà, al NOSTRO bene; di per sé questa cosa, entro certi limiti, è utile alla conservazione della salute fisica e mentale personale, rientra in ciò che viene chiamato istinto di sopravvivenza. Riusciamo a superare questo “egoismo funzionale” con l’amore, cioè quando io vedo nell’altro qualcuno di prezioso, insostituibile, qualcuno che mi è stato affidato e di cui sono responsabile.

Ma non è su questi aspetti, comuni ad ogni esperienza di coppia, che voglio concentrarmi stasera.

 

La mia attenzione va a quei casi più estremi in cui un membro della famiglia è in una condizione di fragilità tale che necessita del supporto e dell'assistenza dell'altro. In quei casi in cui mi è chiesto di dedicare tempo ed energie per la cura dell'altro.

Chi è all'ascolto magari è già corso con la mente a situazioni conosciute o vissute, penso che gli esempi siano numerosissimi e non facciamo fatica a trovarne. A molti, cioè, viene chiesto di dedicare tempo ed energie per assistere una persona cara che non è o non è più indipendente; a volte si tratta di un impegno temporaneo, come durante una malattia o un ricovero in ospedale, altre volte questa è una condizione permanente, come nel caso di un membro della famiglia affetto da una grave disabilità.

 

Nello specifico questa riflessione nasce da un film che ho visto e che mi ha colpito molto, dal titolo OGNI TUO RESPIRO (titolo originale BREATHE di Andy Serkis, 2017).

In questo film, tratto da una storia vera, il protagonista, giovane sposo, si ammala di una malattia invalidante e ineluttabile. Con l'aiuto della moglie e di alcuni amici prova a vivere una vita piena, con dignità e gioia, dimostrando alla comunità scientifica del tempo (fine anni 50) che i pazienti con infermità permanenti potevano vivere in mezzo agli altri e potevano portare un contributo positivo alla società, mentre fino ad allora ci si limitava a tenerli rinchiusi in istituti lontano dagli occhi di tutti, condannandoli ad un'esistenza monotona e senza speranza.

Il personaggio che più mi ha colpito e mi ha fatto riflettere è stato quello della moglie, dapprima determinata a non arrendersi ad una condizione che tutti, anche lo stesso marito, definivano disperata. Con il tempo, la testardaggine e il coraggio, questa donna si è adoperata per realizzare i bisogni e i desideri del marito, dedicandovisi incondizionatamente. Era capace di smuovere cielo e terra per fare in modo di trasformare in realtà quello che il marito sognava, affrontando senza scoraggiarsi difficoltà, resistenze e pregiudizi.

È proprio su questo che mi sono interrogata:

Siamo capaci di dedicarci ai bisogni e ai desideri dell'altro, tanto da farli diventare il motivo della nostra vita?

Perché, bisogna dirlo, il messaggio che viene mandato dalla cultura attuale è ben diverso da quello della rinuncia di sé a favore del bene dell'amato...

Sempre in campo cinematografico, mi è capitato di vedere diversi film romantici in cui, dopo l'idillio iniziale, la trama porta allo scioglimento della relazione nel momento in cui questa diventa ostacolo alla realizzazione personale di uno o di entrambi i membri della coppia. Mi riferisco soprattutto al cinema americano, che da sempre esalta l'espressione di sé e la realizzazione dei propri sogni, soprattutto lavorativi e di carriera, come obiettivo di vita (un esempio su tutti il film LA LA LAND - Damien Chazelle, 2016 - di cui ovviamente non racconto il finale, che del resto mi ha lasciato davvero perplessa).

Infatti diversi autori descrivono la nostra società come narcisistica, intendendo che la persona è molto concentrata su di sé, sul proprio benessere, che va difeso e promosso e che in nessun modo deve essere sacrificato nelle relazioni sentimentali, per non correre il rischio di finire invischiati, limitati, soffocati in quelle che vengono chiamate “relazioni tossiche”, cioè che avvelenano l’esistenza.

I ragazzi, le ragazze soprattutto, sono molto attente a questo aspetto, almeno a parole, e anche nei percorsi che realizzo con loro nelle scuole lo portano spesso come aspetto problematico dell’essere innamorati. In effetti è vero che (soprattutto per le femmine) c’è il rischio di intendere l’amore come “essere come tu mi vuoi” o “dire sempre di sì perché sennò ti perdo o ti stanchi di me”. In questi casi però parliamo di una visione dell’amore e della relazione immatura e distorta, di cui la dipendenza affettiva, la mancanza di assertività e la tendenza ad annullarsi in modo subalterno sono rischi effettivi e, purtroppo, non rari.

La preoccupazione di cadere in una relazione tossica deriva forse dal fatto che i giovani percepiscono che legarsi affettivamente a un’altra persona implica sacrificare qualcosa di sé, e questo fa molta paura se associamo l’idea di “sacrificare” all’idea di “perdere”.

Cosi, sempre secondo alcuni esperti, per la paura di “perdersi” nell’altro, anche condizionati dalla nostra mentalità consumistica, si tende a vivere le relazioni come degli scambi, dei patti che possono durare fino a che ci siano le condizioni in cui entrambi i membri della coppia siano soddisfatti o si sentano sufficientemente gratificati. In questo tipo di relazione si usano comunque le parole “amore” e “innamorato”, ma è evidente che il significato è molto diverso da quello che si intende quando si parla di Amore, cioè accogliere l’altro come un dono e desiderare il suo bene. Condivido questa definizione che ho trovato sul web e che mi pare bella e significativa:

 

L'amore vero è una inclinazione, un “attività” del pensiero che si traduce in un profondo e incondizionato interesse per la persona amata, in un desiderare spassionatamente la sua evoluzione e il suo benessere, qualsiasi cosa ciò comporti. - dentrolatanadelconiglio.com

 

Un cristiano sa bene che l’amore è sacrificio, un sacrificio non fine a se stesso ma che porta al bene dell’amato e quindi dell’amante. Un cristiano perciò sa anche che amare è donare, è servire.

 

In quest’ottica diventa naturale amare l'altro mettendosi al suo servizio. Il richiamo al Vangelo è evidente: in quello di Giovanni, al capitolo 13, Gesù, appena prima di sedersi a tavola per l'ultima volta con i discepoli, li stupisce mettendosi a lavare loro i piedi, un gesto della quotidianità, che solitamente ognuno fa per sé, da solo, ma che in una situazione di fragilità, di malattia, di vecchiaia può diventare faticoso, può richiedere l'intervento di qualcun altro che mi aiuti o lo faccia al posto mio.

Con questo gesto, Gesù sembra invitarci ad essere noi quel qualcuno disponibile a sorreggere e aiutare nei bisogni fondamentali chi non riesce a farlo da solo, e a svolgere questo servizio non come dovere ma come espressione di amore.

Bisogna anche riconoscere che la natura umana, fondamentalmente, è sociale e solidale e spontaneamente si tende ad offrire aiuto alla persona malata o fragile; basti pensare a come nel tempo si è evoluto il progresso scientifico in campo sanitario, raggiungendo livelli di competenza e professionalità molto elevati: pensiamo a tutti gli strumenti e le metodiche di assistenza usate negli ospedali, nelle case di cura, a tutti i presidi di ausilio per rimediare a limitazioni e handicap. Tutto ciò però non necessariamente coincide con lo sguardo amorevole, misericordioso diremmo, di chi assiste un malato vedendo in lui o lei non solo un soggetto bisognoso ma una persona preziosa, unica, da amare.

Non è un caso infatti che tanti santi siano stati riconosciuti tali proprio per la dedizione con cui si sono spesi per gli altri.

La prima che mi viene in mente è madre Teresa di Calcutta, maestra nell'uso dei cinque linguaggi dell'amore: offrire parole di conforto e incoraggiamento, donare ciò di cui c'è necessità, dedicare tempo e attenzione, vicinanza fisica, cura del corpo malato.

Non solo quindi un servizio di assistenza sanitaria ai moribondi ma un modo per non farli sentire abbandonati, per salvaguardare la loro dignità di esseri umani, per farli sentire preziosi, amati.

Un altro esempio che mi piace richiamare è Gianna Beretta Molla, che ha scelto di tutelare la vita della figlia che portava in grembo rinunciando a sottoporsi a cure mediche necessarie per se stessa, che avrebbero però compromesso la sopravvivenza della bambina. In questo caso, la scelta è di non far prevalere il mio bene a scapito del tuo; scelta non scontata, neanche quando si tratta di un figlio, perché l'istinto di sopravvivenza è, a ragione, ben radicato in ognuno di noi.

Il fatto che queste due donne siano ricordate come sante indica proprio che le loro non sono scelte o stili di vita facili, ma sono però possibili: in qualche modo ci possono guidare o illuminare nelle nostre scelte, nei nostri stili di vita, anche se difficilmente raggiungeremo quei livelli!

 

Perché appunto come accennato prima, nella società utilitaristica in cui viviamo, pare che l'ultima cosa che si desideri è sacrificare qualcosa di sé per il bene dell'altro. 

E quando a questo siamo costretti, spesso lo viviamo come un castigo, una limitazione della nostra libertà, un fastidio, una sfortuna.

 

Per la verità, nella vita capita in tutte le famiglie prima o poi, almeno temporaneamente, di doversi occupare di un genitore anziano, del coniuge malato o infortunato, o della disabilità di un figlio, di un parente.

Più la fragilità è permanente, più vicini sono gli affetti, più profondamente la nostra vita ne viene condizionata. Quando l'imprevisto riguarda il coniuge o un figlio, succede che, come nel film in questione, occorra ripensare il futuro, rivedere i progetti, ridimensionare le aspettative. 

 

Da notare che il film a cui mi riferisco è stato prodotto dal figlio dei protagonisti, come tributo al coraggio e all’amore dei suoi genitori. Anche questo particolare mi ha colpito molto. È innegabile che quello che succede ad un membro della famiglia condiziona la vita di tutti gli altri, in questo senso la promessa di condividere la vita “nella buona e nella cattiva sorte” riguarda anche i figli, non solo gli sposi!

Di fronte a situazioni complesse e difficili, spesso si è portati a pensare che non sia giusto farle ricadere sui figli, c’è un po’ l’idea che questi abbiano il diritto di vivere il più a lungo possibile nel mondo incantato e innocente dell’infanzia, dove non ci sia ansia, dolore, frustrazione. Mi viene in mente la difficoltà di tanti adulti ad affrontare con i bambini il tema della morte o della malattia, di non essere in grado per esempio di spiegare la morte del nonno o la disabilità del fratellino. Si pensa che i bambini non siano in grado di far fronte a quelle situazioni che per la verità preoccupano l’adulto, ma che per loro, proprio perché bambini, è più facile che appaiano come normali, connaturate alla loro esperienza di vita e di famiglia. A volte succede che, rispetto a un problema o una situazione complessa, noi genitori facciamo scelte rinunciatarie o meno coraggiose, aggrappandoci all’idea che in questo modo tuteliamo il benessere dei figli; mi viene da chiedere, a me per prima: quante volte avrò usato il benessere dei figli come scusa per arrendermi davanti alla richiesta di essere a servizio della vita e dell’amore?

Questo film sembra dimostrare che l’esempio di tenacia e dedizione dei genitori, innegabilmente insieme a fatiche e sacrifici, non è necessariamente un trauma o una limitazione, ma una risorsa preziosa e una lezione di vita di cui essere grati e orgogliosi. 

 

Concludo con questo pensiero:

La verità è che, per fortuna, bene o male, quando la vita lo richiede, siamo in grado di organizzarci per fare fronte a questo tipo di sfide, in qualche modo le soluzioni si trovano, ci adattiamo, sopravviviamo. La domanda è: con che spirito?

Con dedizione? Con coraggio? Con ottimismo? Con rabbia? Con frustrazione? Con invidia (degli altri, di chi riteniamo più fortunato)?

Naturalmente succederà di sperimentare tutti questi stati d'animo, ma quale permane come sottofondo? 

Come fare per vedere in quella sfida, in quella fatica, in ciò che tanti chiamerebbero sfortuna, una occasione d'amore, di crescita umana, addirittura di santità?

Ecco, penso che dovremmo forse continuamente chiedere la grazia di riuscire a non perdere lo sguardo innamorato sulle nostre persone care quando soffrono, chiedere che sia la loro fragilità, il loro bisogno a fare crescere il nostro amore, invece di farlo sbiadire. Forse il miracolo è proprio questo, e forse non è così infrequente; di sicuro non passa così inosservato, se porta agli onori degli altari, o a raccontarne l'esperienza nei film. Del resto ne ho preso a pretesto uno, ma di film sulla malattia e l’amore ce ne sono tanti, cosi come tanti sono i santi che si sono dedicati alla cura dei sofferenti, anche se ho preso ad esempio le due a cui sono particolarmente legata.

chiarasolcia.it, chiara solcia, a servizio del tuo bene, educhiamo la famigliacoppia ombrello
legarsi affettivamente a un'altra persona implica sacrificare qualcosa di sé, e questo fa molta paura se associamo l'idea di "sacrificare" all'idea di "perdere"; se invece significa "donare", diventa fonte di gioia per l'amato e per l'amante

14.10.2023

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