A PROPOSITO DI RISPETTO
Quello che mi piacerebbe condividere stasera è una riflessione su un aspetto dell'educazione secondo me importantissimo, in famiglia come ovunque: il rispetto, educare al rispetto di se stessi e di tutti gli altri.
Sembra scontato, sembra naturale, non dovremmo neanche parlarne, dal tanto appaia ovvio: il rispetto è la base della convivenza civile. Eppure... Eppure è così facile dimenticarsene, è così facile lasciarsi prendere dalle situazioni, dalle emozioni, dalle cattive abitudini... Rispettare, rispettarsi non è affatto facile. Soprattutto rispettare l'altro nella sua diversità, nel suo diritto ad avere idee e desideri diversi dai miei, non è affatto facile. La cronaca ce lo ricorda continuamente: zuffe, aggressioni, violenze, femminicidi, guerre. Quale insegnamento, quale esempio, quale buona pratica abbiamo dimenticato quando manchiamo di rispetto a qualcuno (o a noi stessi)?
Il tema è uno di quelli molto sentiti ultimamente, purtroppo a causa degli innumerevoli casi di comportamenti violenti agiti all'interno delle relazioni di coppia e non solo. Ha mosso le coscienze di tutti il drammatico omicidio di Giulia Cecchettin, nel novembre 2023, tanto che si è molto ri-parlato della necessità di percorsi di educazione affettiva e sessuale nelle scuole.
Essendo quello che faccio per lavoro, non sarò certo io a negare questa necessità, anche se poi molta differenza in questo senso la fanno i contenuti di questi progetti e le modalità con cui vengono proposti.
Non si può però tacere che quello che i ragazzi possono sentire o sperimentare, imparare a scuola durante un progetto che (almeno nella mia attuale esperienza) dura circa sei/otto ore in totale, rappresenta solo una piccola percentuale del lavoro educativo necessario alla loro formazione in questo senso. Quando incontriamo i ragazzi, i bambini a scuola, tutto quello che trasmettiamo loro si inserisce su uno stato più o meno profondo di esperienze e stimoli recepiti in famiglia. Quindi ancora una volta è la famiglia il primo polo educativo, che le altre realtà devono coadiuvare e affiancare.
Come educare al rispetto? Prima ancora, per quale motivo il rispetto è importante? Quale è il suo valore?
Nelle scuole propongo questi temi in un percorso rivolto ai ragazzini di prima o seconda media. Oggi voglio partire da questa mia esperienza per condividere contenuti e modalità che possono diventare spunti utili magari anche per genitori o educatori in genere.
Penso che il nucleo del discorso sia riconoscere che ogni persona è preziosa, ogni persona ha valore, dignità. Pari dignità e insostituibile unicità.
Su questo nucleo fondamentale si possono costruire riflessioni, ragionamenti, teorie, ma penso che se prima non si assimila questa verità, tutto il lavoro successivo avrà fondamenta traballanti.
Quindi punto primo: ogni persona è degna di rispetto, solo per il fatto che è una persona.
La domanda che ne segue è: Cosa mi permette di riconoscere che un essere vivente è una persona e non un animale o un'altra creatura? Risposta dei ragazzi: lo riconosci dal fatto che possiede le caratteristiche tipiche della persona. Domanda successiva: allora di che cosa è fatta una persona?
Accantonata per una volta la mia amata metafora della casa a tre piani, per questa volta è più utile un'altra metafora, quella della mano. Come le dita di una mano, la persona è composta di cinque caratteristiche che ci permettono di distinguerla da altre forme viventi, dagli animali, per esempio. Chiedo ai ragazzi: di che cosa è fatta una persona? Solitamente la prima risposta è il corpo, o alcuni suoi organi. Diamo quindi per assodato che il nostro corpo è un elemento indispensabile per l’esistenza, tanto che si può dire che finché non c’è il corpo, non c’è neanche la persona. Questa espressione, che può sembrare un po’ perentoria, mi piace molto perché mi permette di ricordare che la nostra esistenza sulla terra ha avuto inizio con la formazione della nostra prima cellula, lo zigote. Utile ricordare inoltre che tutte le nostre esperienze passano attraverso il corpo, anche la possibilità di agire ed essere visti e riconosciuti dagli altri. Nello stesso tempo mi rendo conto che il corpo da solo non basta: quando una persona muore il suo corpo rimane, ma riconosciamo che non è più abitato, la persona non c’è più. Il corpo ora è ciò che resta (i suoi resti, appunto) e viene chiamato con altri nomi: salma, cadavere.
Di cosa altro è fatta una persona? Dal carattere o indole, cioè il suo tipico modo di reagire e affrontare ciò che l’ambiente propone: qualcuno ha un carattere più estroverso, un altro più chiuso, timido, oppure volitivo, altruista, determinato…ognuno il suo.
Terzo elemento: emozioni e sentimenti, cioè il vissuto interiore, quello che proviamo vivendo le situazioni della vita e le relazioni. Tutti gli esseri umani provano più o meno le stesse emozioni, anche se il modo di esprimerle può essere molto diverso ed è influenzato dal carattere, dalla cultura, dal contesto.
Quarto elemento: l’intelligenza, cioè la capacità di leggere, comprendere la realtà e adattarvisi, trovando soluzioni ai problemi che essa pone.
A questo punto con i ragazzi mi piace soffermarmi sul fatto che l’intelligenza non è solo quella logico/cognitiva che permette loro di prendere bei voti a scuola. Esistono anche altri tipi di intelligenza, come quella linguistica (la capacità di esprimere chiaramente pensieri e concetti o di imparare le lingue diverse da quella nativa) quella musicale (che riguarda la capacità di comporre, riprodurre e riconoscere modelli musicali) quella corporeo-cinestetica (che permette a ballerini, acrobati e sportivi di muoversi con equilibrio e coordinazione) quella spaziale e visiva (sviluppata in pittori, scultori e architetti) quella interpersonale (che ci rende capaci di comprendere gli altrui stati d’animo e di essere sensibili ai bisogni degli altri) quella manuale (la capacità di costruire, riparare, inventare) ecc.
Il primo teorico delle intelligenze multiple è stato Gardner nel 1993, da allora le sue teorie sono state riprese, riviste, anche criticate, ma si può essere d’accordo nel dire che ogni essere umano è in grado di allenare tutti questi tipi di intelligenza, anche se per lui alcune saranno più agevoli di altre.
Mi sembra una visione molto positiva, che permette di apprezzare le abilità di tutti, senza per forza farne una graduatoria di valore o importanza. E seppur è vero che il compito della scuola è trasmettere conoscenze e verificare che esse siano acquisite, bisogna anche ricordare, soprattutto agli studenti, che un giudizio sulle loro conoscenze (e sulla loro capacita di esprimerle) non è un giudizio su di loro, sul loro valore personale. Se mi sembra di poter dire che questo è chiaro alla maggiorana degli insegnanti, possiamo dire che sia così anche per noi genitori? Siamo capaci di lasciare che i nostri figli mettano a frutto le capacita che sono loro congeniali? Lasciamo che esse orientino le scelte scolastiche dopo la scuola dell’obbligo? Permettiamo loro di esplorare tutti questi campi dell’intelligenza, offriamo stimoli che possano cogliere liberamente?
Arrivati a questo punto mi viene spontaneo dire ai ragazzi che non dovremmo mai sentirci legittimati a dire che qualcuno è stupido, perché in quel caso forse sono io che non ho capito in che cosa l’altro è intelligente. Inoltre, non evitiamo di lasciare spazio alla nostra intelligenza preferita, di metterla in atto, di esprimerla, per timore del giudizio o delle aspettative degli altri, fossero anche il migliore amico, il professore o i genitori.
Manca ancora un dito della mano, cioè una caratteristica fondante la persona: è quella più difficile da spiegare, ma sentita e riconosciuta da tutti: lo spirito, che può essere chiamato anche anima o coscienza, a seconda di dove si mette l’accento; può essere intesa come la capacità di portare nel mondo una unicità che resta dopo la morte (questo concetto può includere l’anima immortale dei Cristiani, ma anche il contributo alla storia dell’umanità che ognuno lascia nel mondo, sia con grandi gesti che con il ricordo nel cuore dei propri cari); può rappresentare inoltre ciò che ci anima, che ci muove, il nostro nucleo esistenziale: l’insieme di desideri, aspirazioni, scelte, che indirizza la nostra vita…insomma la libertà, legata anche alla capacità di riconoscere il bene e il male, il giusto e lo sbagliato, ciò che è importante e ciò che non lo è. Riconosciamo infine che questa è la capacità più tipicamente umana, anche solo perché mancano gli strumenti per comprendere quanto possa essere sviluppata nelle varie specie animali.
Cinque caratteristiche, come cinque sono le dita della mano. Viene facile visualizzare il concetto dell’unità personale pensando che la mano, capace di fare tantissime cose, riesce nel suo intento grazie alla collaborazione di tutte le dita, che sono interdipendenti tra loro. Un ruolo particolare lo gioca il pollice, con la sua opponibilità che permette di sfruttare al meglio le altre dita; non a caso il pollice, primo dito, viene usato in questo elenco per indicare il corpo, crocevia per esprimere e realizzare tutta l’esistenza personale.
OGNI persona quindi è composta di corpo, carattere, emozioni, intelligenza, coscienza. Questo definisce la pari dignità di chiunque: questa “uguaglianza” suscita in ognuno la capacità di rispettare i propri simili e il diritto di essere rispettato.
La metafora della mano permette inoltre di puntualizzare un altro aspetto fondamentale: può capitare che un dito non sia visibile, sia parzialmente o totalmente fuori uso, oppure momentaneamente immobilizzato, addirittura amputato: anche se guardando una mano vediamo tutte queste limitazioni, esse non ci impediscono di riconoscerla per quello che è: una mano, pur con caratteristiche particolari. Lo stesso vale per la persona: il fatto che alcune delle sue componenti siano “rovinate”, limitate, mancanti, non toglie la dignità personale, non la fa essere meno persona degli altri. Il valore di un essere umano non dipende dalla sua capacità di mettere a frutto le sue caratteristiche, il valore di un essere umano è dato dalla sua sola esistenza. Così viene dichiarato nella dichiarazione universale dei diritti umani, all’articolo 1:
“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.
Abbracciare questa idea vuol dire avere la capacità di bypassare tutti quegli ostacoli che mi fanno vedere l’altro con sospetto o sufficienza perché appartenente a categorie diverse dalle mie: per età, sesso, cultura, provenienza geografica, ideologia, integrità fisica ecc.
Infine questa metafora aiuta anche a capire che, come a tutti può capitare, ad un certo punto della vita, di avere un dito (o tutta la mano) fuori uso, così a tutti può capitare di sentirsi discriminati, inadatti, limitati e questo non vuol dire che tale condizione giustifichi il fatto di percepirsi da sé o venire considerati dagli altri come persone di serie B. E ancora, avere tutti pari dignità significa che quello che vale per me vale anche per gli altri; posso così capire come un atteggiamento giudicante e svilente che ferisce me possa ferire un altro quando sono io a metterlo in pratica nei suoi confronti.
Quando uso questa metafora, per esempio in classe, chiedo ai ragazzi di disegnare su un foglio il contorno della propria mano, facendosi aiutare da un compagno o compagna. Ognuno poi dovrà scrivere all’interno di ogni dito una delle cinque caratteristiche che abbiamo elencato (corpo, emozioni ecc.) e infine potrà decorare la mano, personalizzandola e rendendola unica e riconoscibile.
Questo ultimo particolare serve per aiutarli a visualizzare tutto il positivo di essere diversi, irripetibili, originali. Per permettere agli altri (e a me stesso) di riconoscermi, occorre un particolare, occorre non essere completamente omologato, occorre quella unicità che appartiene solo a me; vuol dire sentirsi liberi di essere se stessi pur riconoscendosi appartenenti ad un contesto, ad un gruppo, ad una famiglia. Significa non sentirsi obbligati ad aderire incondizionatamente a quello che il mio gruppo di riferimento mi propone. Capiamo facilmente come questo concetto sia importante nelle relazioni amicali, se per esempio mi permette di accorgermi che il mio gruppo di amici rischia di trasformarsi in un branco, in cui la regola è obbedire al leader per non essere estromesso. Ma anche nei legami famigliari, se mi dà il coraggio di non cedere a imposizioni o pressioni che condizionano le scelte personali per il futuro, come il percorso scolastico, la scelta del lavoro, la vita affettiva.
Il fatto che sia un compagno a disegnare la mia mano indica un altro aspetto costitutivo della persona, la sua natura relazionale. Noi esistiamo perché in relazione con qualcun altro!
Quando propongo questa attività nei percorsi con mamma e figlia tocca alla mamma il compito di disegnare la mano della figlia, per sottolineare come la prima e fondante relazione nella vita è quella con i genitori, coloro che hanno fornito gli “ingredienti” con cui si è costituito il mio corpo, cioè la mia persona.
Ma oltre questa relazione primaria ce ne sono tante altre che aiutano a plasmare il mio carattere, che mi permettono di provare emozioni, di sviluppare l’intelligenza, di sperimentare comportamenti, elaborare pensieri, esercitare la libertà di scegliere, valutare, accettare o rifiutare.
Sono gli altri che mi aiutano a capire chi sono: grazie al confronto e alle loro reazioni imparo le abilità sociali, ricevo stimoli, scopro i miei limiti.
Mi piace lanciare un’ultima suggestione: l’incontro con l’altro lascia un segno, mi trasforma.
Faccio sperimentare questo concetto chiedendo ai ragazzi, divisi in gruppo e seduti in cerchio, di passare al vicino il proprio disegno della mano, su cui egli dovrà lasciare un segno caratteristico. A turno quindi ognuno lascerà il proprio segno sulla mano di tutti i componenti del gruppo, fino a ricevere nuovamente il proprio foglio. Scopriremo così che la mano si è trasformata grazie all’incontro con gli altri. È bene a questo punto sottolineare che ogni incontro lascia un segno, a volte labile, altre profondo, a volte visibile, altre nascosto, a volte consapevole, altre no. Quello che sono oggi dipende anche dagli incontri che ho avuto finora. Di conseguenza io lascio un segno in tutti quelli che incontro, anche se non riesco ad esserne sempre consapevole. Per quanto dipende da me, posso provare a lasciare segni rispettosi, positivi, incoraggianti, rasserenanti, stimolanti, ma sono in grado di lasciarne anche di svilenti, critici, giudicanti. Incontrare l’altro e relazionarsi con lui diventa così una responsabilità, la consapevolezza che una parte di me, a volte piccolissima, a volte enorme, contribuirà all’esistenza di chi mi sta intorno.
Come educatori, come genitori, anche questa è una bella sfida: quale imprinting, quale stile relazionale trasmetto ai miei figli o alle persone che mi sono affidate? Come riesco a rimodularlo quando mi sembra non idoneo? Come posso riparare agli inevitabili scivoloni che nel tempo mi sarà capitato di commettere?
Ovviamente non ho una risposta per queste domande…che sono quelle che anch’io tutt’ora mi faccio pensando ai miei figli o ai ragazzi e ragazze che incontro.
per quale motivo il rispetto è importante? quale è il suo valore?
penso che il nucleo del discorso sia riconoscere che ogni persona è preziosa, ha valore, dignità. Pari dignità e insostituibile unicità
10.02.2024

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